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    CON LO SGUARDO ARCELOR – SCORTE AZZERATE, PAGAMENTI BLOCCATI, BASSA QUALITÀ DEI MATERIALI: ANCHE SE LE TRATTATIVE CON IL GOVERNO RIPARTONO DAVVERO, PER L’EX ILVA SI RISCHIA IL DISASTRO – I DIRIGENTI SCARICANO L’AD LUCIA MORSELLI: “LO STOP ERA CHIARO GIÀ A SETTEMBRE” – LO SCUDO PENALE? SOLO UNA SCUSA, ARCELORMITTAL È IN CRISI


     
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    Claudia Guasco per “il Messaggero”

     

    STEFANO PATUANELLI GIUSEPPE CONTE ROBERTO GUALTIERI CON LAKSHMI E ADITYA MITTAL STEFANO PATUANELLI GIUSEPPE CONTE ROBERTO GUALTIERI CON LAKSHMI E ADITYA MITTAL

    Comunque andranno le trattative con il governo, alla fine si rischia il disastro. «Nonostante la sospensione del piano di fermata, l'azienda non ha tutto quello che serve per proseguire l'attività, in quanto l'approvvigionamento delle materie prime è stato cancellato. Il piano prevedeva di lasciare una scorta minima soltanto per un altoforno per un mese», riferisce ai magistrati il dirigente di Arcelor Mittal Salvatore De Felice. Spiegando anche che, quando si spegne un impianto di quella portata, «i danni ci sono sempre, si tratta di verificarne le entità».

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    PIANO PREORDINATO

    I pm di Milano depositano il loro intervento in vista dell'udienza della causa civile di mercoledì prossimo, dieci pagine nelle quali inseriscono i verbali dei tecnici del gruppo franco-indiano convocati in procura nell'ultima settimana. Dalle loro deposizioni emerge un quadro tanto cristallino quanto sconfortante delle reali condizioni del polo siderurgico: scorte azzerate, bassa qualità dei materiali, nessuna risorsa per ripartire, i 45 milioni di euro di affitto trimestrale non saldati a novembre, pagamenti bloccati per 130 milioni, una voragine di 700 milioni di euro nel 2019.

     

    È tutta qui, secondo i magistrati, la ragione per cui Arcelor Mittal vuole abbandonare Taranto al suo destino. «La vera causa della disdetta - scrivono i pm - pretestuosamente ricondotta al venir meno dello scudo ambientale è eziologicamente riconducibile alla crisi di impresa e alla conseguente volontà di disimpegno dell'imprenditore estero». Comunicata «a dirigenti e quadri» dall'amministratore delegato Lucia Morselli in un incontro «ai primi di novembre», come afferma il direttore generale della ex Ilva, Claudio Sforza: «Ha annunciato ufficialmente che aveva fermato gli ordini, cessando di vendere ai clienti».

    GIUSEPPE CONTE CON LAKSHMI MITTAL GIUSEPPE CONTE CON LAKSHMI MITTAL

     

    Ma lo stop era già chiaro da due mesi: «In più riunioni tenute da settembre, sia il precedente ad Mathieu Jehl, sia il nuovo ad Lucia Morselli hanno dichiarato che la società aveva esaurito la finanza dedicata all'operazione». Una «disastrosa crisi economica», sono le parole della Morselli nel vertice sindacale del 15 novembre al Mise con il ministro Stefano Patuanelli. Eppure, racconta il dirigente Sergio Palmisano, «siamo partiti con grande entusiasmo nel novembre 2018. Il primo trimestre non è andato bene, il secondo doveva segnare il pareggio ed è andato invece peggio del primo. Il terzo trimestre è stato peggiore anche del secondo e a detta di Jehl dovevamo recuperare 140 milioni, con taglio del personale e cassa integrazione per 1.300 persone.

    ILVA E TUMORI ILVA E TUMORI

     

    OPERAIO ILVA OPERAIO ILVA

    Il quarto trimestre sarà difficilissimo, perché a seguito del piano di fermata è sostanzialmente tutto bloccato, abbiamo disdettato gli ordini dei clienti, le bramme prodotte saranno spedite altrove». In base all'autorizzazione integrata ambientale, Ilva non può produrre più di sei milioni di tonnellate l'anno: «Con la gestione commissariale eravamo sui 5 milioni di tonnellate, ora saremo sui 4,5 milioni e rischiamo le quote di Co2». Il problema, rivela il dirigente Giuseppe Frustaci, è nella fase di produzione: «Parliamo di costi globali che evidentemente non garantivano marginalità, anzi il trend di perdita appariva inesorabile. Sul punto, ricordo che Jehl dispose di tagliare i costi della manodopera, riducendo lo straordinario che era una componente significativa».

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    COSTI TROPPO ALTI

    I manager stranieri di Arcelor Mittal erano molto critici sulla gestione, «in quanto ritenevano che i costi industriali fissi (manodopera, manutenzione) e variabili (materie prime) fossero molto alti». Il loro bersaglio erano «l'ad Jehl e la direzione dello stabilimento di Taranto» e le «rimostranze» arrivarono già nella prima riunione di febbraio 2019, «nella quale venne messo in evidenza soprattutto l'alto costo della manodopera a causa del livello dello straordinario e del tasso di assenteismo».

    LUCIA MORSELLI LUCIA MORSELLI

     

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    I manager, ricorda Frustaci, «sostenevano altresì che per la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio la qualità delle materie prime fosse troppo alta e che occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbattere i costi». Ieri intanto nello stabilimento di Taranto si è svolta un'ispezione. Obiettivo: le operazioni di bonifica, la situazione generale della fabbrica, le attività di manutenzione finora eseguite e la sicurezza sul lavoro.

     

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