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Riccardo Luna per “la Stampa”
Ci piace raccontare la fine delle storie perché non sappiamo cogliere gli inizi. È molto più facile decretare la fine di un'epoca che accorgersi del futuro che avanza. Il primo giorno della Apple o di Microsoft non fece notizia, così come non ebbe spazio su nessun giornale il primo collegamento della rete Internet nel 1969, o la creazione del world wide web molti anni più tardi. Zero.
Semplicemente gli inizi non sappiamo vederli, mentre i finali sono lì, tragici e imponenti.
La caduta degli dei fa rumore. Negli anni '80 ad un certo punto qualcuno decretò la fine dei videogiochi e venti anni dopo la Silicon Valley era un cimitero di aziende fallite, un posto da cui stare alla larga. Abbiamo visto come è andata.
È andata che l'innovazione va avanti, trova nuove strade per manifestarsi, nuovi settori e ad un certo punto, di nuovo, cambia tutto. Questo non per sminuire quello che sta accadendo in Silicon Valley: non c'erano mai stati tanti licenziamenti dal 2000, c'è poco da sminuire.
Ma per contestualizzarlo, per provare a capire. Per evitare conclusioni affrettate tipo: la fine della Silicon Valley. Allora, che è successo? Perché questa crisi? Intanto perché c'è una crisi economica mondiale seria e il mondo della tecnologia non ha nessun vaccino per restare fuori dal contagio: per dirne una, se i costi dell'energia elettrica aumentano, come sono aumentati, un settore energivoro come quello tecnologico non può non avere dei contraccolpi (sì, Internet non è immateriale come si pensa: funziona grazie a data center, router, cavi in fibra ottica; consuma e inquina parecchio).
Come ogni manager sa benissimo, se i costi aumentano da qualche parte, vanno limati da qualche altra parte (limati, sì: il numero di licenziamenti ad Amazon per esempio, per quanto rilevante, è una piccolissima percentuale dei dipendenti dell'azienda. Limare è il verbo più adatto per ora).
Qualcuno addebita la crisi in corso al post covid, al fatto che le persone hanno ricominciato ad uscire di casa, ma è un'analisi semplicistica: grazie agli smartphone abbiamo Internet sempre in tasca, siamo connessi tutto il giorno, a casa o fuori; ed anzi, dopo la pandemia sono aumentati gli utenti, gli anziani, per fare un esempio, hanno imparato a stare in rete e mica hanno smesso.
Le ragioni della crisi vanno cercate altrove e sono, di solito, nella mancanza di innovazione: l'ultima grande invenzione è stato l'iPhone, nel 2007; Facebook è del 2004. Tutto il resto, il modello economico digitale, è stato costruito attorno a queste due pietre miliari. Ma nulla dura per sempre e quel modello (in sintesi: raccogliere quanti più dati possibili degli utenti per poterli rivendere agli inserzionisti pubblicitari) non funziona più come prima.
Non è questa la sede per approfondirlo ma è un fatto che quelle aziende non sono più macchine che producono soldi a palate, ne producono molti meno. In Silicon Valley lo sapevano che non poteva durare per sempre e in questi anni hanno provato a inventarsi altre cose: occhiali connessi, mongolfiere per portare la rete ovunque, macchina a guida autonoma, fino al metaverso. Ma nulla ha davvero funzionato, finora. Nulla.
Del resto, e anche questo va detto, la crisi è delle aziende non dei lavoratori del settore: ancora a novembre, il mese peggiore per i licenziamenti, secondo i dati del governo americano, i posti di lavoro tech sono cresciuti solo che si sono spostati: del resto programmatori e data analyst sono richiestissimi da tutte le altre aziende impegnate a diventare digitali.
jeff bezos nel suo ufficio nel 1999
Insomma è un momento di passaggio, non drammatico e interessante, perché dopo anni di innovazione di cartapesta e profitti astronomici, fra poco il mondo ricomincerà a girare attorno a qualche altra intuizione rivoluzionaria. I segnali stavolta già si vedono: l'intelligenza artificiale in grado di creare istantaneamente testi, immagini e persino canzoni non è più uno scenario possibile, ma è già fra noi. Quante nuove aziende nasceranno in quel settore?
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