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    IN MORODER WE TRUST – IL PADRE DELLA DISCO MUSIC, CHE TRASFORMÒ L’ELETTRONICA IN DANCE, A 78 ANNI CORONA IL SOGNO DI UN TOUR IN EUROPA E A MAGGIO APPRODA IN ITALIA: “MI PARE DI ESSERE AL CANTAGIRO DEL 1969” – “PER CONVINCERE DONNA SUMMER A FARE LA VERSIONE CON GLI ORGASMI DI “LOVE TO LOVE YOU BABY” BUTTAI FUORI TUTTI E SPENSI LE LUCI” – LA CAMERA DA LETTO COME QUELLA DI “AMERICAN GIGOLÒ” E IL RIMPIANTO DI NON ESSERE RIUSCITO A… (VIDEO)


     
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    Enrico Franceschini e Antonello Guerrera per il "Venerdì-la Repubblica"

     

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    Al venerato "padre della disco music" non piace ballare e dall' orecchio sinistro «ci sento sempre di meno». Ma dopo una pila di successi mondiali come Hot Stuff e Love to Love you Baby con Donna Summer, Call Me con i Blondie, Cat People con David Bowie, Love Kills con Freddie Mercury, Random Access Memories con i Daft Punk e poi quattro Golden Globe, altrettanti Grammy e soprattutto tre Oscar per la colonna sonora di Fuga di Mezzanotte e per le canzoni FlashdanceWhat a Feeling e Take my Breath Away di Top Gun, Giorgio Moroder a 78 anni ha finalmente coronato un sogno: il suo primo vero tour in giro per l' Europa.

     

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    Il celebre musicista italiano, producer e profeta del sintetizzatore, ha già esaltato con la sua Celebration of the 80's i fan di Regno Unito, Belgio, Germania, Olanda.

     

    Ora, tra qualche giorno, sarà anche in Italia: il 17 maggio al Teatro Ciak di Milano, il 18 al Mandela Forum di Firenze e infine il 19 maggio all' Auditorium Parco della Musica di Roma. Moroder, baffoni folti e candidi, tuta scura e camicia giallonera, vive da tempo a Beverly Hills ma la sua lunga epopea parte da Ortisei, in Val Gardena. «Da ragazzino» dice «parlavo italiano in città, tedesco con i genitori e ladino con i miei fratelli».

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    E che viaggio da Ortisei. Emozionato adesso, in tour dopo tanti successi?

    «Mi pare di essere al Cantagiro del 1969, quando con Celentano e un' altra cinquantina partimmo da Pugnochiuso. A parte gli scherzi, mi sento molto bene. È anche più facile rispetto a quando facevo il deejay: lì ero solo, senza band, e un errore si notava subito».

     

    Torna a Londra dopo molto tempo Quando è stata la prima volta?

    «Nel '63 all' Hotel Savoy: eravamo in tre, io, chitarra e basso. Suonavamo motivetti ballabili, un po' di jazz. Il Savoy era stupendo. Erano gli anni Sessanta, giravamo Svizzera, Olanda, Germania».

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    E poi cos' è successo? 

    «Decidemmo di smettere, ognuno per la sua strada. A Berlino mi fecero un' offerta come tecnico del suono, accettai, mi trasferii da mia zia: ebbi il primo successo con Ricky Shayne e poi con Looky Looky. Poi, una casa discografica mi offrì di andare a Monaco di Baviera, dove incontrai Donna Summer».

     

    Lì cambiò tutto per lei, no?

    «Esatto. I primi due pezzi con Donna, come The Hostage, andarono abbastanza bene. Il mio studio di registrazione di Monaco intanto era sempre occupato, perché Mark Bolan dei T Rex aveva sparso la voce, e così accoglieva già Rolling Stones e Led Zeppelin.

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    Mick Jagger chiamava e mi diceva: "Giorgio, ci serve lo studio", e chi ero io per dire di no? Allora i gruppi inglesi incidevano all' estero per ragioni di tasse. Un giorno però lo studio era vuoto ed entrò Donna Summer con l' idea di Love to Love You Baby. Fu subito un successo. Mi chiamò Neil Bogart, il proprietario della Casablanca Records: "Potreste fare anche una versione lunga di 17 minuti?"».

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    Quella con gli orgasmi di Donna?

    «Già. Ma lei non se la sentiva, c' era troppa gente. E allora buttai fuori tutti, spensi le luci, e il risultato fu spettacolare».

     

    Le manca oggi Donna Summer? Quasi tutte le canzoni del suo tour attuale sono le vostre hit.

    «Molto. Ci eravamo persi di vista quando lei cambiò casa discografica, andando con Geffen. Ricominciammo a vederci negli ultimi tempi, prima che morisse, nel 2012. Io vivevo a Los Angeles, e si innamorò talmente tanto del condominio in cui abitavo, a Westwood, uno dei rari quartieri in cui puoi fare due passi a piedi, che affittò un appartamento sotto al mio. Appena mi sentiva suonare al piano telefonava. Volevo fare un tour con lei ma beveva sempre succhi e diceva che non poteva viaggiare.

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    Non sapevo fosse malata. Poi morì».

     

    Che tipo di persona era?

    «Molto spiritosa e poi gran professionista, voce straordinaria».

     

    Qual è il segreto della sua disco music?

    «È come la musica rock, dove ci sono quattro accordi: do maggiore, la minore, fa e sol. Ma dopo Love to Love You Baby, molti artisti imitarono melodie facili e il genere andò in malora. Anche perché venne associata sempre di più ai gay in America, scatenando reazioni assurde dei tradizionalisti, come la "Disco Demolition Night" di Detroit del 1979, in cui i dischi dance vennero bruciati come i libri dai nazisti».

     

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    Però la sua era la musica del futuro, come disse Brian Eno.

    «In realtà, quando realizzammo Cat People, a dirlo fu David Bowie, che era venuto a Berlino per cercare un suono nuovo. Dopo avere sentito la mia musica disse: "È già tutto qui". Ah, ora che ci penso, proprio Bowie ricordò tempo fa in un' intervista una cosa davvero divertente che capitò e non avevo mai reso pubblica».

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    Che cosa?

    «Quando finirono di girare American Gigolò, di cui avevo scritto la musica, dissi allo scenografo Nando Scarfiotti: "Mi piace la camera da letto del film, la voglio anch' io". E lui la ricreò nel mio appartamento di L.A. Ma si era basato sulla camera del personaggio di Richard Gere, mentre io volevo quella del pappone!».

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    La disco music e la dance sono davvero morte?

    «I francesi sono quelli che ancora riescono a fare disco, vedi Kavinsky. Il genere è ancora vivo da loro, perché in Francia l' elettronica ha avuto sempre molta importanza. I Daft Punk ne sono l' esempio».

     

    Ma è vero che andò con Sylvester Stallone a casa di Bob Dylan per convincerlo, inutilmente, a cantare per Rambo III?

    «Sì, fu un' idea di Stallone. Anche se non lo conoscevo, Dylan ci ricevette nella sua casa di Malibù, splendida, tutta di legno. Ascoltò il brano due, tre volte. Il giorno dopo mi fece capire che non se la sentiva. Forse il brano non gli era piaciuto e poi credo che non volesse essere associato alla guerra del film».

     

    Ha visto A Star is Born con Lady Gaga?

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    «No, ma la canzone che ha vinto l' Oscar è stupenda. È un' artista fantastica, personalità eccezionale e grande talento, ha fatto tanti pezzi simili ai miei, vedi Poker Face. Molto meglio lei di Madonna».

     

    Perché lei Moroder ha cercato sempre il successo all' estero?

    «Perché ho capito subito che se vuoi avere successo nel mondo devi farlo in inglese. Sin da ragazzino ascoltavo solo musica inglese, su Radio Ilversum dell' Olanda, poi Radio Veronica: l' R&B, i gruppi neri, i Platters, i Freshmen, gli Hi-Lo' s Italiani e tedeschi non mi interessavano».

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    Dopo una carriera così straordinaria, che progetti ha?

    «Ho quasi deciso di non far più niente. Sto lavorando a una serie tv americana, Queen of the South, su Netflix. Poi Joseph Kosinski, il regista di Top Gun: Maverick, il sequel di Top Gun, mi ha chiesto se potevo comporre alcuni pezzi per il film. Anzi, mi ha chiamato Tom Cruise in persona e non potevo dirgli di no».

     

    E il suo più grande rammarico?

    «Non sono ancora riuscito a fare un musical. Ma soprattutto, non ho accettato di comporre la colonna sonora di Fame di Alan Parker: con il suo Fuga di mezzanotte avevo avuto l' Oscar nel '79.

     

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    Il canovaccio di Fame era una serie di vignette, non lo capii, non mi ispirò. E così rifiutai. Ma poi ne è venuto fuori un film fantastico. Non avrei mai dovuto dire di no a un regista con cui avevo già vinto un Oscar».

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