Tiziana Lapelosa per “Libero quotidiano”
Predicare bene e razzolare male. Perché un conto è stare sull'altare e dal pulpito, in abiti sacri, ricordare ai fedeli di essere buoni, di amare il prossimo come se stessi, di perdonare, spiegare cosa è il bene e cosa è il male e via così. Un conto, finita la messa, è tornare uomini e mischiarsi alle infinite debolezze del genere umano, lo stesso che popola le chiese e che, ascoltata la predica, pure ci pensa ad amare il prossimo come se stesso, a perdonare, a scindere il bene dal male e così via. Almeno il tempo di tornare a casa.
DON GAVINO SANNA
Lo stesso tempo che avrà impiegato don Gavino Sanna, attuale parroco di Bonorva, in provincia di Sassari, percorrendo il tragitto che lo separava dalla chiesa alla sua casa una volta finito di celebrare messa e terminata quella parte burocratica che non risparmia nemmeno le parrocchie.
La posizione privilegiata nel dialogo con Dio di certo non ha aiutato don Gavino a placare l'astio e i dissidi nei confronti di uno dei suoi fratelli. "Costretto" a condividere con loro la casa eredità dei genitori, tra i parenti strettissimi pare non sia mai corso buon sangue. E la faccenda, che si è consumata nel piccolo comune di Ossi, 5.500 anime sempre nel Sassarese, ha assunto contorni ancora più plateali dal momento che in famiglia i panni sporchi sono stati lavati sette anni fa all' antivigilia di Natale. Altro che "tutti più buoni" e "vogliamoci bene".
IL FATTO
Pomo della discordia tra il parroco, due suoi due fratelli, Roberto e Antonio Maria, e una sorella, Antonia Celestina, era l'eredità dei genitori. Un imbuto dal quale i quattro non riuscivano più ad uscire. Di più non sappiamo. Sappiamo, invece, che quel 23 dicembre del 2012 la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato un giubbino appeso male.
SACERDOTE
Roberto, rientrato a casa poco prima dell' ora di cena, aveva chiesto spiegazioni alla sorella per quel giubbino. Anche il sacerdote era presente e, intervenendo, il giubbotto era caduto a terra. Così si evince dalle carte giudiziarie. Poi ci sono le testimonianze rese dai diretti interessati. Con Roberto che racconta di come, una volta chinatosi per raccoglierlo, dal fratello prete abbia ricevuto calci e pugni.
Non solo, dice l' uomo difeso dall' avvocato Maurizio Serra: «Mi ha buttato nel letto mettendomi la mano in faccia impedendomi di muovermi», racconta a La Nuova Sardegna. È a quel punto, spiega, che anche la sorella e l' altro fratello si sarebbero avventati contro di lui sempre con calci e pugni. E amen.
OCCHI VELATI
La vittima, ancora presunta, non ci ha visto più. È quindi andato al Pronto soccorso (due i giorni per guarire dalle lesioni) e poi dai carabinieri per denunciare i familiari tutti. Una volta in aula, il prete ha invece spiegato di essere intervenuto per difendere la sorella vittima di un' aggressione da parte di Roberto. Una versione che però non ha convinto il giudice Caterina Serra, che tre giorni fa ha condannato il parroco e gli altri due imputati (il fratello Antonio Maria e la sorella Antonia Celestina, tutti difesi dall' avvocato Luca D' Alò) a due mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena. E adesso? Di certo il Signore perdonerà il don, che però non è riuscito - stando alla sentenza - a predicare bene e a razzolare altrettanto bene.