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    “IN RETE C’ERANO DIECI UTENTI CHE HANNO SOSTENUTO LA SUA SCELTA” – IL PADRE DI MATTEO CECCONI, IL 18ENNE DI BASSANO DEL GRAPPA CHE SI È TOLTO LA VITA INGERENDO IL “VELENO DEL WEB”, HA SCOPERTO CHE LA MATTINA DELLA MORTE IL FIGLIO ERA COLLEGATO A UNA STRANA COMMUNITY: “GLI DICEVANO CHE STAVA FACENDO LA COSA GIUSTA. FRASI COME “VAI E TROVERAI LA PACE”. CI SONO PROFILI ISCRITTI DA ANNI, MI CHIEDO PERCHÉ LO FACCIANO, MA…”


     
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    Barbara Todesco per "www.corriere.it"

     

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    «Matteo si era iscritto a quel sito il 12 aprile, due settimane prima di togliersi la vita. E la mattina in cui ha deciso di ingerire il veleno era collegato in chat con una decina di altri ragazzi, che l’hanno sostenuto nella sua scelta».

     

    A parlare è Alessandro Cecconi, padre di Matteo, il diciottenne studente al quarto anno dell’istituto tecnico industriale «Fermi» di Bassano del Grappa che lo scorso 26 aprile ha deciso di mettere fine alla sua esistenza in una pausa tra una lezione e l’altra della didattica a distanza, solo qualche giorno dopo il compleanno del suo migliore amico. Il sito sotto inchiesta è una community con 17 mila iscritti in tutto il mondo che la Procura di Roma, nei giorni scorsi, ha oscurato ravvisando il reato di istigazione al suicidio. Lo stesso sito, poi, è tornato visibile.

     

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    Il capo d’accusa per cui i magistrati della capitale hanno avviato un’inchiesta dopo la denuncia di due famiglie, quelle di Fabio e Paolo, due diciannovenni che hanno scelto di morire esattamente come Matteo. Proprio la somiglianza tra quanto accaduto, in pochi mesi, a due ragazzi di Roma e Latina (stessa età, stessa sostanza acquistata sul web, stesse modalità) aveva fatto ipotizzare al sostituto procuratore di Roma, Alberto Pioletti, che in rete potesse girare un messaggio capace di convincere giovani poco più che maggiorenni a prendere decisioni irreparabili.

     

    Proprio come accaduto nel caso dello studente bassanese, i due coetanei laziali avevano acquistato su un sito Internet quello che è stato ribattezzato «il veleno del web», pagandolo poche decine di euro. E proprio come lui erano entrati nella community prima di farla finita.

     

    Tutto questo lei, Alessandro Cecconi, l’ha scoperto nelle ore successive alla morte di suo figlio, cercando una possibile spiegazione di quel gesto tra i file occultati nel suo pc dal ragazzo, esperto di informatica. 

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    «Passando al setaccio il computer di Matteo abbiamo visto che la mattina del 26 aprile si era collegato al sito oggi sotto inchiesta. Connessi c’erano altri dieci utenti. Non posso dire con sicurezza che lo abbiano spinto a compiere quel gesto estremo, ma sicuramente ne hanno sostenuto e approvato la scelta».

     

    In che modo?

     «Dicendogli che stava facendo la cosa giusta. “Vai e troverai la pace”, ad esempio, o frasi come: non temere, vedrai che andrà tutto bene».

     

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    Secondo lei Matteo ha maturato la decisione di uccidersi navigando in quel sito? «Non credo. Leggendo tra le pagine del suo computer penso che lo avesse già deciso da tempo. Aveva ricercato e trovato altrove, ma sempre sul web, il modo a suo dire migliore per farla finita: la sostanza da usare, le quantità giuste, i siti in cui acquistarla, persino cosa fare per evitare di rigettare il veleno e rischiare così di fallire nel proprio intento. Sul sito in cui navigava quell’ultima mattina ha trovato, invece, persone che l’hanno accompagnato nella sua scelta e assecondato. E’ un po’ come quando una persona sta per gettarsi da un ponte: di solito chi se ne accorge cerca di dissuaderla, proteggerla. In questo caso gli hanno dato la spinta finale».

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    Cosa prova nei confronti di chi quella mattina era on line con suo figlio? «Non posso colpevolizzarli, ma quando vedo che ci sono profili iscritti da anni a quella community mi chiedo perché lo facciano. Piuttosto sento rancore nei confronti di chi consente che siti come quello possano esistere. Oggi ne hanno oscurato uno e possiamo dirci felici, ma ne sorgeranno presto altri, se non l’hanno già fatto».

     

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    Lei è un educatore, come si possono difendere i ragazzi da questi pericoli? «L’ho provato sulla mia pelle: per quanto, come genitori, possiamo pensare di conoscere i nostri ragazzi, non saremo mai in grado di controllarne completamente le frequentazioni, specie quelle virtuali. Oggi con un click possiamo essere in contatto con il mondo ma non siamo ancora in grado di proteggerci da esso. Un primo passo, forse, potremo farlo quando sarà istituito l’obbligo dell’identità digitale».

     

    Nei giorni scorsi ha sentito il padre di uno dei ragazzi al centro dell’indagine romana. «Si, ho chiamato il papà di Fabio Gianfreda e parlando con lui ho rivissuto esattamente quello che è accaduto a me. Lui ha deciso di diventare punto di riferimento per le famiglie che hanno vissuto un dramma simile al suo. Per me forse è ancora troppo presto, il dolore è ancora troppo vicino, ma è mia intenzione darmi da fare per evitare che quando accaduto a Matteo possa succedere ad altri».

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