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    FENOMENOLOGIA DI INARRITU - A 17 ANNI SI IMBARCÒ PER UN GIRO DEL MONDO, LASCIÒ IL MESSICO DOPO UNA RAPINA E PERCHÉ UN POTENTE SIGNORE ERA CONTRARIO A CHE LUI FREQUENTASSE LA FIGLIA - STOCCATA A ZALONE: “UNA VOLTA IL CINEMA ITALIANO FACEVA IL GIRO DEL MONDO. OGGI VOLETE SOLO LE COMMEDIE. EPPURE AVETE MORETTI, SORRENTINO E GARRONE...”


     
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    Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia

     

    Maria Pia Fusco per “la Repubblica”

     

    inarritu e di caprio al photo call inarritu e di caprio al photo call

    L'incontro è in una sala di un grande albergo romano, presidiato all' esterno da gruppi di giovani e meno giovani donne con il cellulare in agguato per cogliere un sorriso, un saluto, almeno uno sguardo. No, non di Alejandro González Iñárritu di ma di Leonardo DiCaprio e del suo appeal che soprattutto sul pubblico femminile resiste dai tempi di Titanic - tanto più che quest' anno rischia davvero di portarsela a casa la statuetta come attore protagonista. Revenant - Redivivo, ne ha già collezionate dodici di candidature.

     

    leonardo di caprio al photo call leonardo di caprio al photo call

    E se a vincere fosse anche il regista allora sarebbe un vero evento nella storia del cinema, un bis dopo il trionfo dell' anno scorso con Birdman. E dunque non è con Leonardo DiCaprio ma con Alejandro González Iñárritu che abbiamo un appuntamento. Attacca subito: «Leo è una vera star, ma è anche un grande attore, un professionista. Ha lavorato nelle condizioni più difficili, addosso pesanti costumi di scena, strisciando su terreni ghiacciati, in luoghi bui e inospitali.

     

    Pochi attori avrebbero accettato di affrontare prove così difficili. Abbiamo girato per nove mesi nella Colombia britannica, potevamo lavorare un' ora e mezzo al giorno, sia per la luce che per la temperatura proibitiva. Leo non ha mai perso entusiasmo, si è immerso nella natura con tutto se stesso. Trovo geniale che qualcuno da qualche parte abbia scritto "Nationa-LeoGraphic"».

     

    fan in attesa di dicaprio fan in attesa di dicaprio

    Quanto agli Oscar: «Certo, Leo ed io siamo molto contenti dell' accoglienza e dell'attenzione dell' Academy, ma francamente non abbiamo fatto il film pensando all'Oscar. L' impegno era quello di realizzare qualcosa che emozionasse il pubblico di oggi ma che avesse un valore anche per il futuro».

     

    Revenant - Redivivo, si sa, racconta una storia di sopravvivenza, la leggenda di Hugh Glass, un cacciatore di pelli che nel 1823, durante una spedizione nella natura incontaminata alla frontiera tra Stati Uniti e Canada, aggredito da un grizzly, ferito e sanguinante, fu abbandonato, solo e senza risorse. Riuscì a sopravvivere e a percorrere oltre 300 chilometri per raggiungere il compagno che lo aveva tradito e che ne aveva ucciso il figlio adolescente, Hawk, che aveva avuto da una donna indiana. Forse meno conosciuta è la storia dell' uomo che l' ha portato sul grande schermo.

     

    Alejandro González Iñárritu è nato a Città del Messico cinquantatré anni fa. Si trasferì negli Usa, a Los Angeles, dopo il successo del suo primo film, Amores perros (2000. Ed è proprio nel personaggio di Hawk che Iñárritu si identifica. «Hawk è un misto di razze e malgrado l' affetto del padre resta comunque un outsider, segnato dal colore della pelle.

    fan in attesa di di caprio fan in attesa di di caprio

     

    Anch'io ho la pelle scura, vivo a Los Angeles da quindici anni ormai e sin dall' inizio ho imparato a capire che significhi essere un outsider. Poi, grazie al mio lavoro, ho avuto la fortuna e il privilegio di essere stato accettato e persino premiato. Ma milioni di miei concittadini messicani vengono maltrattati, respinti, a volte brutalizzati. L' ignoranza, la non conoscenza del diverso, genera sempre ostilità e paura. E non a caso sono questi i sentimenti che si avvertono nel film: tra le diverse tribu di indiani, tra gli indiani e gli americani, tra i diversi gruppi di cacciatori».

     

    Certo, il film è ambientato nei primi anni dell' Ottocento, quando l' America si stava formando come nazione, «ma è anche un film politico che parla dell' oggi, di un mondo che sta affrontando ovunque il problema dell' emigrazione e dell' arrivo del diverso, e dunque della paura, del nemico. Con questo non voglio dire che tocchi al cinema raccontare la realtà del mondo, documentarla.

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    Personalmente trovo più interessante un cinema che cerchi il mistero della vita, la percezione più che la realtà». Influenze? «Il neorealismo italiano mi ha influenzato molto, ma oggi cerco storie più metafisiche, qualcosa che mi provochi un' emozione inspiegabile, come un quadro, un pezzo di jazz. È più il percorso spirituale dell' essere umano che mi attrae che la verità di una vicenda, ed è questo il modo con cui ho affrontato il personaggio di Hugh Glass».

     

    Non a caso per Revenant - Redivivo cita come riferimenti film come Apocalypse Now o Aguirre, autori come Kurosawa e Tarkovski. «Spero che vada in questo senso anche il gusto del pubblico, che è molto cambiato negli ultimi tempi. Basta pensare al cinema italiano, un cinema che faceva il giro del mondo e oggi mi dicono che gli italiani vogliano soprattutto commedie. Eppure avete Nanni Moretti, Sorrentino e Garrone...».

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    Iñárritu non è uno di quegli autori che sognavano il cinema fin da bambino - «anche se mio padre mi portava spesso a vedere i migliori film che uscivano in Messico» - ma ha vissuto avventurose esperienze giovanili. A diciassette anni si imbarcò su una nave, per due anni girò il mondo e non smentisce la circostanza che sia stato costretto a lasciare il Messico da un potente signore, decisamente contrario al fatto che il ragazzo frequentasse assiduamente sua figlia. Al ritorno ha studiato comunicazione.

     

    «Ho cominciato a lavorare alla radio, intervistavo rockstar, trasmettevo concerti, ero bravo credo. La mia vera passione comunque era la musica, avevo una band, suonavo la chitarra, avevo un buon orecchio, ma ero un pessimo esecutore: se avessi continuato sarei stato un musicista frustrato. È grazie al fallimento con la musica che sono passato al cinema. Lavorando per la televisione ho scoperto che mi piaceva il clima del set, la collaborazione tra gli attori, la troupe».

     

    La decisione di lasciare Città del Messico è stata favorita da una brutta rapina di cui fu vittima. «Oggi penso di aver fatto la cosa giusta, se fossi rimasto in Messico, immerso in una realtà che conoscevo così bene, favorito dalla lingua e dall' ambiente, sono sicuro che la mia creatività si sarebbe esaurita. Non è stato facile abituarmi agli Stati Uniti, avevo i miei pregiudizi, non sopportavo il nazionalismo di certi americani che credono di essere i migliori del mondo. Ci ho messo otto anni ad abituarmi».

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    Difficile trovare un filo conduttore nei suo film. In 21 grammi racconta il peso dell' anima - «No, non sono un credente ma credo nella spiritualità che ogni essere umano può trovare» - mentre in Babel si intrecciano quattro diverse storie girate in quattro paesi diversi: «Mi aiutato l' esperienza giovanile dei miei giri del mondo, la memoria di società e culture diverso. Ma l' unico filo conduttore forse è la libertà che pretendo in ogni mio film: sono sempre padrone dei miei progetti, non voglio interferenze degli Studios, dal primo all' ultimo film il final cut è il mio. Mi assumo tutte le responsabilità, anche dei miei errori naturalmente, non posso dare colpe a nessuno». I prossimi impegni di Inarritu «mi riguardano come padre. Ho due figli adolescenti. È vero che spesso li porto con me, siamo come un circo viaggiante. Ma negli ultimi tempi li ho trascurati, devo rifarmi».

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