Francesco Grignetti per la Stampa
SCAFARTO
E alla fine, a finire intercettato dai carabinieri, toccò anche al capitano Gianpaolo Scafarto. Accade il 10 aprile scorso, ore 20.15 di sera. Scafarto si sente nell' occhio del ciclone perché in quelle ore non si parla d' altro che degli «errori» di cui era infarcita la sua informativa e si sfoga al telefono con un collega parigrado. «L' omissione contestata è una scelta investigativa precisa che ho condiviso anche con Woodcock», dice il capitano del Noe, braccio destro dei pm napoletani.
henry john woodcock
Scafarto si riferisce alla principale delle contestazioni cui deve rispondere, ossia di avere prospettato alla procura di Roma che c' erano degli 007 a seguirli nelle attività di polizia, e non, come ormai era loro chiaro, un cittadino qualsiasi che si era trovato nella strada dove l' imprenditore Alfredo Romeo ha gli uffici e che banalmente cercava parcheggio.
Vincenzo Paticchio
Nell' intercettazione, però, il capitano Scafarto dice molto di più. Viene fuori la paura di finire stritolato in un gioco più grande di lui. Riferisce di «pagare il conto per tanti». E fa nomi pesanti: il pm John Henry Woodcock, l' ex suo comandante Sergio De Caprio (al secolo Capitano Ultimo, ovvero il mitico ufficiale che arrestò Totò Riina e che nel frattempo è approdato al Noe), il generale dei carabinieri Vincenzo Paticchio (attuale comandante della legione Calabria).
È con questa intercettazione in mano che i pm romani, nell' interrogatorio del 10 maggio scorso, gli chiedono conto dei ripetuti errori. E quando l' ufficiale prova a svicolare, con un «quei fatti mi sembravano irrilevanti», lo incalzano. Scusi, come mai ci sono ben 3 intercettazioni nelle quali lei dice che non sono stati errori ma scelte investigative? È in questo interrogatorio che Scafarto ammette: «La necessità di compilare un capitolo specifico inerente al presunto coinvolgimento di personaggi dei servizi segreti fu da me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock. Io condivisi».
CAPITANO ULTIMO
Scafarto racconta il clima di paranoia che attraversa l' Arma. «Per quanto attiene al generale Pascali (comandante in capo del Noe, ndr) , atteso che dalle intercettazioni emergevano suoi rapporti con il generale Saltalamacchia (indagato a Napoli per una presunta fuga di notizie, ndr) a sua volta amico di Marroni, portai i relativi brogliacci al colonnello Sessa, lasciando che decidesse lui cosa fare».
SALTALAMACCHIA RENZI
Un clima avvelenato che non risparmia i rapporti tra le procure di Roma e Napoli. L' intercettazione del colloquio tra Matteo Renzi e il babbo Tiziano, i pm romani l' hanno conosciuta solo leggendo il «Fatto quotidiano». E c' è odore di sgambetto quando la procura di Napoli chiede e ottiene da un gip di intercettare il telefonino di Tiziano Renzi, a marzo, dopo che questa tranche dell' inchiesta da due mesi era finita nella Capitale ed erano stati i pm romani ad avere indagato il «babbo» per traffico di influenze. Reato minore, peraltro, che a rigore di procedura non permetterebbe l' uso di intercettazioni, e che neppure permetterà, in futuro, la trasmigrazione di questa intercettazione da Napoli a Roma.
NICOLA GRATTERI
Si apre intanto l' ennesima indagine sulla «talpa» che ha passato ai giornalisti un atto d' indagine. Al riguardo è lapidario il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, intervistato da Giovanni Minoli: «Posso dire, per esperienza, che quando c' è una violazione, esce o dalla Procura o dalla polizia giudiziaria. E, in genere, quando la polizia giudiziaria fa la fuga di notizie, c' è quanto meno una sorta di silenzio-assenso da parte della Procura. Altrimenti le notizie non escono fuori».