Marco Bracconi per “Robinson - la Repubblica”
ALTAN MARA CHAVES
"Disegno il mondo come è e come potrebbe essere": Altan racconta la sua vita tra la cagnetta a pois rossi e Cipputi. "È senza eredi non perché è scomparsa la classe operaia, ma perché il lavoro è stato troppo svilito". La Pimpa e Cipputi alla fine sono parte di una sola storia. Quella che dall' infanzia conduce alla fine delle illusioni».
Nel grande giardino del casale di Aquileia, tra il mare di Grado e le Alpi Giulie, Francesco Tullio Altan indica il rifugio sull' albero che ha costruito per la nipotina. «A sette anni mio padre mi regalò il primo Salgari, tiravo tardi la notte per finirlo. A quei tempi era quasi un percorso obbligato. Per i bambini di oggi è tutto diverso, quando ho provato a girarlo a lei non è andata un granché... ».
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Il suo rifugio è invece nello studio al secondo piano, sopra il grande camino che custodisce la memoria di quella che fu la fattoria del nonno. È qui che nascono le favole per i piccoli e le vignette senza lieto fine per i grandi, davanti a queste finestre spalancate sui colori tenui della terra friuliana, così diversi dalle accensioni brasiliane, l' altra terra che si porta dentro da quando tornò da Rio de Janeiro con sua moglie Mara, compagna di vita da quasi mezzo secolo. «Anche nelle vignette c' è quella eco, certe sensibilità si fissano e restano indelebili».
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Un imprinting cromatico e non solo, visto che bisogna ancora tornare in Sudamerica per trovare l'origine delle posture quasi in abbandono dei suoi personaggi: «In Brasile si usa l'espressione "fare il corpo molle", ed è l' atteggiamento di chi riceve colpi uno dopo l' altro e sa che ne riceverà ancora. Ma resiste». A settantaquattro anni assai ben portati Altan ha molto da fare.
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Oggi l'incontro con i giovanissimi al festival " Sottodiciotto" di Torino, nuove storie animate della Pimpa in arrivo su Rai Yoyo, una app a pois per il Museo Egizio a portata di bambino. Ma non c'è un Altan per l'infanzia e uno per gli adulti. «Da una parte racconto il mondo come potrebbe essere, dall' altra come è. La Pimpa è scoperta e accoglienza inesauribile verso gli altri. Poi arrivano ombrelli e disincanti».
Una progressione leopardiana.
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«Beh, Leopardi è uno che pensava, e pensava bene. E sul costume e il carattere degli italiani mi sembra abbia colto parecchio nel segno».
Suo padre era un antropologo. A suo modo si sente un po' figlio d' arte?
«In qualche forma sì, ma lui era un vero studioso, analizzava fonti e trovava nessi. Io procedo in un altro modo, osservo e reagisco. Accumulo segnali, frasi, e quando tutto ciò raggiunge un certo "peso" scatta l' azione creativa».
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Prima la battuta e poi il personaggio, o tutti e due assieme?
«Nel tempo ho cambiato attitudine. Oggi è quasi un lavoro di casting. Parto dalla battuta e poi mi chiedo quale personaggio sia più adatto a darle un corpo».
Il gran teatro di Altan. E tutti questi cd? Ascolta musica lavorando?
«Quando inseguo la battuta preferisco il silenzio. La ascolto nelle fasi successive, quando metto il colore per esempio. Adesso poi lavoro quasi solo di giorno. Un tempo, specie per le storie lunghe, andavo avanti fino a notte fonda».
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Viene in mente l'ambigua umanità di "Macao".
«Il mondo delle spy story mi ha sempre affascinato. Ancora oggi sono un fanatico seriale di John le Carré, divoro tutti i suoi libri».
Come gli intrighi di "House of Cards"?
«Sì, mi piace. Anche se la serie inglese era migliore di quella americana».
È casuale che nelle sue vignette siano spesso le figure femminili a dire l'ultima parola?
«No, affatto. Le donne si fanno meno illudere, parlano perché vedono la realtà e non per averla sentita dire. E sono più coraggiose di quanto pensano».
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La realtà è sempre più fuori moda. La società della parola di massa significa anche "fake news" e "post-verità". La satira è un antidoto?
«Il disvelamento di cui è capace il linguaggio satirico è sempre più necessario. Ma non so dire quanto riesca a essere efficace. Internet poi è incontrollabile. Insistendo con una falsità si finisce per crederci. Il web è uno spazio di libertà, certo, ma anche un gran casino. Non riesco a capire come si possa dirimere».
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L'altra faccia della medaglia è il "politically correct" a tutti i costi. Certe prime pagine di "Cuore" oggi susciterebbero indignazioni.
«Si parte da un principio giusto e poi si perde il buon senso. Il fatto è che l' accesso al pubblico è diventato vasto e confuso: una frase politicamente scorretta ha un senso se sta nel suo contesto, che sia una vignetta o una battuta tra amici; se però si gonfia viralmente, uscendo dall' habitat in cui è nata, diventa macigno. Quando i linguaggi si mescolano in modo improprio cambiano di senso».
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Spietato, cantore del disincanto, geniale. Ma le danno anche del cinico.
«Se non avessi invece quel filino di speranza non farei questo lavoro. E nelle mie vignette qualcosa che somigli alla speranza si trova. Non so dov'è, ma c'è».
E l'Altan lapidario? Dicono c'entri col suo carattere.
«Piuttosto anche questa è una lezione brasiliana. La lingua carioca è fatta di battute fulminanti, credo di averlo imparato lì».
Aristofane diceva che la satira onora gli onesti.
«Condivido. E gli onesti sono quelli che resistono, si difendono, continuano a pensare, cercano di mantenere rapporti civili con gli altri».
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Cipputi era un onesto sconfitto. Che però deteneva, gramscianamente, l'egemonia della consapevolezza. Oggi?
«Oggi è difficile trovare qualcuno che ammetta o accetti la sconfitta. E quindi che sappia ricondurla a una lettura lucida della realtà».
Dunque il Cippa è senza eredi?
«Forse sì. E non c' entra la fine della classe operaia. Vittorio Foa disse che al di là della tuta blu era l' uomo che lavora e fa bene le cose che fa. Oggi lo svilimento del lavoro è tale che la precarietà ottunde le idee e le prospettive».
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All' inizio parlavamo di Leopardi. Tante cose non sembrano mai cambiate. L'Italia dell' irresponsabilità, per esempio. Quella che si chiede stralunata "chi è il mandante di tutte le cazzate che lei stessa fa".
«Quella era una vignetta della fine degli anni Settanta, quando non si faceva che parlare del Grande Vecchio. Ma sì, ci sono atteggiamenti costanti negli italiani. Quando riguardo quello che ho fatto quarant' anni fa mi accorgo che andrebbe benissimo anche oggi. Non ne sono contento, ma è così».
Girano gli stessi ombrelli di sempre, insomma.
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«Solo che ora sono random. E non sai nemmeno più bene da dove arrivano».
Nella Seconda Repubblica i politici giocano a fare i presidenti-Cipputi.
«Nel sistema della Prima ci sono cresciuto, ne conoscevo i parametri. Poi da Berlusconi in poi è cambiato tutto. Ma col tempo si adatta il proprio modo di vedere le cose al mondo che cambia. È anche uno stimolo a trovare nuove strade».
A proposito. Nel 2015 ha detto che non ne poteva più del Cavalier Banana. E invece pare si prepari il gran rientro.
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«Il Banana lo disegnavo già allora solo con una buccia appesa, e lo vedo ancora congelatino. Spero di non sbagliarmi...».
Grillo ha usato la satira come alibi per farsi leader politico?
«Ha scelto di fare così e gli è anche andata bene, dal suo punto di vista è perfino un merito. Quelli che proprio non mi piacciono sono i suoi ragazzi».
Tranne eccezioni (Berlusconi, Andreotti, Craxi) al disegno degli eletti preferisce quello degli elettori. Perché tra le eccezioni non c' è Renzi?
«Come fai a mettere sulla sua faccia il mio naso ritorto? Avrei dovuto rinunciare al mio segno, non volevo. E poi è un personaggio mobile, difficile fermarlo in un' immagine che duri. Renzi è un pesciolino sfuggente».
VIGNETTA ALTAN BERLUSCONI OMBRELLO DELLA BILANCIA
Nel frattempo un po' tutta la sinistra sembra fuggire in ordine sparso.
«Provo una sensazione di grande tristezza. Fa male vedere che quella storia va in pezzi lasciando solo detriti. Soprattutto, senza che qualcuno spieghi il perché. È tutto così piccolo, sembra un gioco di ripicche personali. Non si sa dove guardare. Pisapia, ecco, tra tutti mi sembra dica cose di buon senso».
Cosa andrà a dire ai bambini di "Sottodiciotto"?
«Oddio, non so. Spero siano loro a farmi molte domande».
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Se le chiedono di Peppa Pig?
«Ah, una concorrenza micidiale... Non mi piace molto, ma nemmeno la detesto. Mi sembra un po' ripetitiva».
Ai ragazzini bisognerebbe ricominciare a dire di cambiare il mondo?
«Certo che sì. Il problema è che noi adulti fin qui non abbiamo fatto una gran figura. Rischiamo di non essere credibili».