Estratto dell'articolo di Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera”
«Ma tutto questo stupore da dove viene? Non ho mai “esondato” dalla mia sfera di competenza...».
palpata
Maria Bonaventura, giudice del Tribunale di Roma, risponde al telefono: è appropriato definire la vittima di uno stupro «complessata» per spiegare un’assoluzione?
E ancora: due differenti casi di donne aggredite sessualmente sono stati da lei archiviati con un’assoluzione alla quale è stato fatto ricorso, non c’è di che riflettere? Sospira la presidente della quinta sezione collegiale, una donna esperta e una magistrata di lunga militanza, quindi gentilmente, risponde: «Il mio ruolo mi conferisce autonomia e indipendenza ed è in ragione di questi due principi che ho pronunciato e motivato tutte le mie sentenze».
Non è andata, forse, un pò al di là, dottoressa? Bonaventura ha prosciolto il dirigente di un museo che molestava una sua dipendente che lo aveva accusato di palpeggiamenti, mani ovunque perché non convinta della sua colpevolezza e basandosi sulle incerte testimonianze dei colleghi di lavoro della ragazza.
molestie
La giudice, però, ha aggiunto una chiosa all’assoluzione. Il fatto, cioè, che la giovane aggredita «abbia rivisitato inconsciamente l’atteggiamento dell’imputato» verso di lei «mossa dai complessi di natura psicologica sul proprio aspetto fisico (segnatamente il peso)». Motivazioni nelle quali sembra affacciarsi un giudizio improprio.
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Ma non basta. Secondo l’associazione di donne «Bon’t Worry» di Bo Guerreschi, sempre Bonaventura sarebbe responsabile di una sorta di ritorsione nei confronti della giovane vittima del cosiddetto stupro di Capodanno, rea di aver rilasciato un’intervista a Repubblica e perciò ascoltata in un’aula senza tutela in quella che appare una sanzione.
protesta contro sentenza su palpata breve
Sembra un altro capitolo della serie donne che non amano le donne, ma la giudice preferisce non entrare nel merito: «La legge — ribadisce — prevede la possibilità di ricorrere. Sarà la Corte d’appello a esprimere il proprio parere a garanzia di tutti».
Non la disturba il fatto che nell’uno e nell’altro caso i pm abbiano già annunciato o depositato ricorso. Infine declina la domanda che riguarda il linguaggio utilizzato, apparentemente impermeabile alle ragioni delle donne che, vittime di violenza sessuale, hanno trovato la spinta giusta per denunciare i propri aguzzini.
Dietro questo argomento c’è la militanza di molte associazioni che ritengono questi comportamenti scoraggianti per quante vorrebbero denunciare. In questo modo, dicono, si alimenta la cultura del sommerso: le vittime tengono per sé il proprio dolore per paura della cosiddetta vittimizzazione secondaria.
Toghe in un'aula di tribunale
Su questo Bonaventura si chiude nel riserbo: «A mio avviso i giudici devono esprimersi attraverso le proprie sentenze. Ho comunque in serbo una denuncia al Csm al quale inoltrerò una mia relazione dettagliata». Poi saluta educata: il lavoro la chiama, deve tornare in aula. «Restiamo ancora una volta stupiti che si utilizzino le pagine dei quotidiani per contestare sentenze che andrebbero criticate nelle sedi deputate» commenta Gaetano Scalise, presidente della Camera penale di Roma.
protesta femministe contro decisioni giudice maria bonaventura