Estratto dell’articolo di Michele Smargiassi per repubblica.it
paolo di paolo
"Io, fotografando, sono stato felice". Un anno fa, nella penombra dell'auditorium del Mast di Bologna, Paolo Di Paolo confessò così, come si fa degli amori lontani e perduti, la sua passione incontenibile per "quella macchinetta dei miracoli", che tuttavia abbandonò, da un giorno all'altro, come a volte succede ai grandi amori. Ieri, a 98 anni da poco compiuti, Di Paolo ha abbandonato anche la sua esistenza terrena, vogliamo pensare con la stessa malinconica leggerezza con cui, più di mezzo secolo fa, chiuse in scatola circa 250 mila negativi, metà in bianco e nero metà a colori, e li depositò in cantina ("e dove, sennò?").
Laggiù li ritrovò per caso, negli anni Novanta, cercando un paio di sci, la figlia Silvia, che nulla sapeva di quel passato. "Papà, e queste?" "Ah, sono mie. Sono stato un fotografo", rispose con noncuranza. E che fotografo. In quelle scatole c'era l'immaginario di un'Italia risorgente, orgogliosa e divertita, la presuntuosa Italia del benessere; c'erano tutte le facce che contavano nello spettacolo, nella politica, nella cultura, e tutte riprese in un certo modo, quel certo modo che a Pannunzio, che le sceglieva personalmente, per Il Mondo, piaceva molto: non semplici ritratti, ma piccole storie rivelatrici di aspetti nascosti di un carattere che, da personale, diventata italiano.
PAOLO DI PAOLO PASOLINI
Era arrivato a Roma, Di Paolo, dal nativo Molise, con tutt'altre intenzioni.
Di studiare filosofia, e intanto mantenersi con un lavoro da pubblicitario al Cit, agenzia per il turismo che aveva sede ai piani superiori della stazione Termini. "Ma sotto c'era un ottico, e aveva in vetrina una Leica. Io non riuscii a togliermela dalla mente finché non la comprai". E dopo, fu amore travolgente. Autodidatta vorace. Comprava Il Mondo perché ci scriveva un suo professore, e quella "bella fotona in copertina" lo convinse a salire le scale di quel palazzo dietro il Pantheon. Pannunzio gliene comprò tre: "Era velocissimo a scegliere", e sicuro dei suoi criteri. Gli scartò un magnifico ritratto di un Pier Paolo Pasolini pensieroso sul Monte dei Cocci perché "troppo bello".
PAPPAGALLI A VIAREGGIO - FOTO PAOLO DI PAOLO
Bene, tagliamo corto: Di Paolo fu il fotografo più pubblicato sul Mondo: 573 immagini pubblicate, tra queste la prima a cui fu riconosciuto l'onore della firma, e l'ultima prima della chiusura di quel rotocalco, ricordava col suo sarcasmo da dandy, "che nessuno leggeva ma che tutti dicevano di leggere". Durò una decina d'anni, durante i quali Di Paolo lavorò come un matto. Forse il suo capolavoro è La lunga strada di sabbia, il reportage che a due mani e due occhi che fece assieme a Pasolini, di cui vinse la diffidenza citandogli Rilke a memoria; vennero incaricati entrambi dal Tempo Illustrato di percorrere passo dopo passo le coste d'Italia (in realtà Pasolini era un misantropo, viaggiarono separatamente) e narrarla, diciamo così, dal bordo.
PASOLINI DI PAOLO LA LUNGA STRADA DI SABBIA
Però arrivò la fine del Mondo. In molti sensi, per Di Paolo. Nel 1966 la rivista chiuse. E il suo fotografo, addolorato, scrisse a Pannunzio un telegramma definitivo: "Per me muore oggi l'ambizione di essere fotografo". Un'ambizione letteralmente sepolta. Di Paolo finì per lavorare alla sezione storica dell'arma dei Carabinieri. Senza mai più premere un bottone d'otturatore. Ci vollero vent'anni, a Silvia, dopo quella riesumazione fortunosa, per convincere papà a rendere di nuovo pubbliche quelle immagini assieme a tante altre mai viste. Non voleva essere "la Greta Garbo della fotografia".
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pasolini di paolo la lunga strada di sabbia
pasolini la lunga strada di sabbia 9 PASOLINI LA LUNGA STRADA DI SABBIA PASOLINI LA LUNGA STRADA DI SABBIA WALTER CHIARI A FREGENE IN UNA FOTO DI PAOLO DI PAOLO