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    IO, GOOGLE - IL MOTORE DI RICERCA INVESTE 660 MILIONI NELLA START-UP INGLESE DEEPMIND, SPECIALIZZATA IN INTELLIGENZA ARTIFICIALE


     
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    Massimo Sideri per ‘Il Corriere della Sera'

    Forse Isaac Asimov nel 1950 con il suo Io, Robot aveva visto lontano. L'unica cosa che non aveva previsto è che il nome corretto sarebbe stato Io, Google . Con il suo ultimo investimento da 660 milioni di dollari nella start up inglese DeepMind di un genio degli scacchi prestato all'imprenditoria, Demis Hassabis, la società californiana ha scatenato le attese in questa direzione: DeepMind - in cui hanno investito anche l'uomo più ricco di Hong Kong, Li Ka-Shing, e la madre di Nick d'Aloisio, il teenager inglese che ha venduto Summly, una delle start up più interessanti nell'editoria, a Yahoo - si occupa di intelligenza artificiale.

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    Il che da solo non vorrebbe dire molto se non fosse che sempre Google aveva investito di recente in una società di robotica di Boston, Dynamics. Facendo due più due è facile immaginare un futuro in cui Google busserà alle nostre porte sotto spoglie artificiali.

    Tanto che una fonte interna riportata dal Financial Times ieri si è sentita in dovere di dire che DeepMind servirà per migliorare i servizi già esistenti di Google, come il motore di ricerca. E non per un «misterioso robot». Non c'è dubbio che il core business della società che ha monopolizzato la ricerca e la gestione delle informazioni in Rete sia sempre di più la predizione del futuro: quando iniziamo a digitare le informazioni che stiamo cercando sulla stringa di Google, il motore tenta già di indovinare cosa stiamo pensando, dandoci delle possibili soluzioni. Gli algoritmi predittivi sono già il presente più che il futuro.

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    Eppure non c'è dubbio che Google, nata immateriale, si stia sempre di più materializzando intorno alla nostra esistenza: in California la società sta testando ormai da tempo l'automobile che si guida da sola. E al recente Ces di Las Vegas la società ha anche svelato i suoi piani per sviluppare una smart home, una casa intelligente, da gestire attraverso il sistema operativo Android degli smartphone.

    L'acquisto dei termostati intelligenti di Nest Labs per 3,2 miliardi di dollari lo scorso 14 gennaio completa il quadro: si tratta di tecnologie che non a caso permettono un dialogo tra le case e gli smartphone. Insomma, tutto lascia presagire che dopo la bulimia della virtualizzazione Google abbia già intravisto un futuro prossimo fatto di macchine intelligenti che magari non saranno antropomorfe ma che sicuramente avranno un ruolo importante nelle nostre vite.

    Tanto che non è peregrino domandarsi se i robot prenderanno il posto dei lavoratori. Il dibattito è stato avviato da tempo negli Stati Uniti anche in seguito al libro Race against The Machine , la corsa contro le macchine, degli economisti Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee (gli stessi autori del recente The second Machine Age ).

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    Il termine race , corsa, non è scelto a caso in quanto ricorda «Rage against The Machine», la rabbia contro le macchine, nome di un gruppo musicale rap di Los Angeles che rielaborava nei propri testi la tradizione luddista. Secondo gli economisti l'Europa e in particolare la Gran Bretagna, che in epoca di rivoluzione industriale fu proprio la patria del luddismo, sono per ora protette da una bassa produttività del lavoro che non permette ai salari di crescere.

    Secondo questa interpretazione la battaglia dei lavoratori e dei sindacati per aumentare i salari (legandoli come vogliono gli industriali a una maggiore produttività) sarebbe suicida, in quanto aumenterebbe la convenienza delle aziende a meccanizzare-digitalizzare il lavoro, non solo quello operaio ma anche quello intellettuale. Ma a placare le nostre ansie c'è però un altro libro, molto citato e poco letto: La nuova geografia del lavoro di Enrico Moretti, professore di Berkeley.

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    Secondo Moretti il digitale ravviva il panorama professionale, in quanto ogni nuovo posto di lavoro creato in quest'ambito ravviva 5 posti di lavoro della old economy. Solo le risultanze empiriche dimostreranno chi ha ragione nella battaglia tra le forze centrifughe della robotizzazione e quelle centripete della digitalizzazione. Ma, almeno per ora, c'è un ingrediente che favorisce l'uomo: le macchine sono sopravvalutate.

    Anche i server di Google, ormai sinonimo di nuova intelligenza artificiale, fanno fatica a comprendere fenomeni come la morte degli utenti dei social network, nonostante dispongano di tutte le informazioni. È solo un esempio. Che però dimostra che la specie che si è imposta su tutte le altre non deve ora temere i computer, una delle migliori invenzioni della storia. Vedremo cosa ci riserva il futuro di Io, Google .

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