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    BREXIT BLOODY BREXIT - IL PRIMO MINISTRO DELL’IRLANDA DEL NORD ARLENE FOSTER HA ANNUNCIATO LE DIMISSIONI DALL’INCARICO - ARLENE FOSTER AVEVA INGOIATO, SIA PURE CON MOLTE PERPLESSITÀ, L’ACCORDO SULLA BREXIT, MA IL PARTITO UNIONISTA LE SI È RIVOLTATO CONTRO, PERCHÉ CONSIDERA L’USCITA DEL REGNO UNITO DALL’UE COME UNA SORTA DI INDIPENDENZA DE FACTO DEL PAESE – VIDEO


     
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    NORDIRLANDA: FIRST MINISTER ARLENE FOSTER ANNUNCIA DIMISSIONI

    (Adnkronos) - La first minister nordirlandese Arlene Foster ha annunciato le dimissioni dall'incarico e dalla leadership del Democratic Unionist Party, dopo una rivolta interna dei deputati del partito. Lo riportano i media britannici, tra i quali la Bbc.

     

    BREXIT, IL PARLAMENTO EUROPEO APPROVA L'ACCORDO

    Enrico Franceschini per www.repubblica.it

         

    Quasi cinque anni dopo il referendum, l'ultimo atto del “divorzio” del Regno Unito dall'Unione Europea è diventato realtà con l'ok da parte di Strasburgo all'intesa che regola i rapporti commerciali fra Londra e Bruxelles. Ma resta l'incognita dell'implementazione

     

    scontri irlanda del nord scontri irlanda del nord

    LONDRA. Quasi cinque anni dopo il referendum sulla Brexit, l'ultimo atto del “divorzio” del Regno Unito dall'Unione Europea è diventato stamane realtà con l'approvazione da parte del Parlamento di Strasburgo dell'accordo che regola i rapporti commerciali fra Londra e Bruxelles.

     

    boris johnson arlene foster boris johnson arlene foster

    In realtà la decisione è arrivata martedì sera, ma è stata resa nota soltanto oggi: 660 deputati europei hanno votato a favore, 5 contro, 32 si sono astenuti. “Il passo finale di un lungo viaggio”, commenta il premier britannico Boris Johnson. “Le fondamenta di una forte e stretta partnership con il Regno Unito”, twitta la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, aggiungendo però che “è essenziale una fedele implementazione” del patto.

     

    theresa may con i leader del dup arlene foster e nigel dodds theresa may con i leader del dup arlene foster e nigel dodds

    Il viaggio della Brexit era iniziato con il referendum del 23 giugno 2016 in cui il popolo britannico scelse 52 a 48 per cento di lasciare la Ue, è proseguito con gli accordi prima sulle condizioni del distacco (debiti britannici da pagare, pace in Irlanda del Nord da salvaguardare, diritti di 4 milioni di cittadini europei residenti in Gran Bretagna da proteggere), quindi su import-export e altre relazioni post-Brexit.

     

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    Tre primi ministri conservatori si sono nel frattempo succeduti a Downing Street: David Cameron, che si dimise per avere perso il referendum essendosi schierato per restare in Europa, Theresa May che lasciò per non essere riuscita a fare approvare dal Parlamento britannico l'accordo sulla Brexit da lei faticosamente negoziato con Bruxelles, e infine Boris Johnson, giunto al traguardo in extremis con una concessione sull'Irlanda del Nord che nessuno si aspettava e che oggi è diventata la miccia di un nuovo possibile conflitto nella regione.

     

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    Il sì finale del Parlamento di Westminster all'intesa è venuto soltanto il 30 dicembre 2020. La fase di transizione in cui tutto era rimasto come quando il Regno Unito era membro della Ue è scaduta il 31 gennaio scorso. E ora anche il Parlamento europeo ha messo il suo sigillo alla conclusione della laboriosa trattativa.

     

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    L'accordo commerciale aveva già cominciato a funzionare dal primo febbraio di quest'anno in via provvisoria, appunto in attesa del voto dei deputati di Strasburgo. Un voto che ha richiesto più tempo del previsto per l'ampio scetticismo all'interno della Ue su quella “implementazione” del patto che nel suo tweet Ursula von der Leyen sottolinea come un potenziale pericolo.

     

    In particolare suscita apprensioni l'Irlanda del Nord, rimasta parte del mercato comune europeo per non creare un confine con la repubblica d'Irlanda che avrebbe sconfessato gli accordi di pace del 1998, ma proprio per questo ora separata dalla Gran Bretagna da una frontiera commerciale nel mare d'Irlanda che ha scatenato la violenza nella regione.

     

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    Gli unionisti nord-irlandesi si sentono traditi, considerando la Brexit come l'indipendenza de facto dell'Irlanda del Nord. Non a caso il voto di approvazione del Parlamento europeo coincide con la sfiducia espressa martedì dal Dup, il maggiore partito unionista nord-irlandese, nei confronti della sua leader Arlene Foster, che aveva ingoiato sia pure con molto perplessità l'accordo sulla Brexit, uno sviluppo che minaccia di paralizzare il governo autonomo di Belfast e di contribuire alla tensione.

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    Esistono anche altre ragioni di scontento, gli scambi commerciali attraverso la Manica sono calati, i pescatori britannici protestano: ma finora la crisi del Covid ha in qualche misura distratto l'opinione pubblica sulle due sponde del canale dalle conseguenze della Brexit. Il viaggio è stato effettivamente “lungo”, come lo definisce Boris Johnson, eppure non è veramente concluso. Ci sono voluti cinque anni per arrivare a questo punto, tra altri cinque anni si tirerà il primo bilancio della Brexit, su cui pesa pure l'insidia della Scozia, che vorrebbe l'indipendenza anche per ritornare a fare parte della Ue. Forse soltanto nel 2026 gli inglesi capiranno se valesse davvero la pena di fare la Brexit.

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