Carla Vistarini per Dagospia
“La musica autarchica no. Per favore.
CARLA VISTARINI
L'imposizione di una "Quota Italia" obbligatoria di canzoni, in radio e in tv, questo 40% di cui si parla, è una cosa che fa venire l'orticaria anche solo a pensarla.
L'autarchia ha precedenti da ventennio, è una cosa che sa di caffè di cicoria, di bigottismo, di provincialismo assoluto.
La musica appartiene all'anima e al vento che soffia forte, le percentuali non sono ammesse. Mettere i lacci all'arte non ha mai fatto bene a nessuno.
E lo dico da paroliere con un repertorio di 400 canzoni, più o meno, cui una norma del genere creerebbe notevoli vantaggi.
MOGOL
Ma non si può, non si deve tornare indietro, agli orticelli chiusi. Questi vecchi ricchi signori che sponsorizzano questa pastoia barbara e che dalla musica hanno già avuto tanto ma forse vogliono ancora, potrebbero, con maggior grazia e buona pace di tutti, tacere.
Senza contare che la musica italiana non ha bisogno di questi mezzucci da gerarchi asfittici per essere viva e vegeta e avere successo. E la competizione affina. Ma come? vogliono "aprire i porti" e poi chiudere quelli della musica? La musica non passa? Ma per favore. Care radio, suonate quello che vi pare, mandate tutto, senza percentuali, in libertà. Poi, chi corre più forte lo decide il pubblico. Viva la musica. Tutta.”
MOGOL RILANCIA LA RADIO SOVRANISTA: SIA ITALIANO ALMENO UN BRANO SU TRE
mogol lucio battisti
Andrea Laffranchi per il Corriere della Sera
Una canzone italiana su tre. L' idea è questa.
Idea di Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera ed ex direttore di Radio Padania, primo firmatario di una proposta di legge per la tutela dell' italianità. Idea sovranista che vede schierata anche la Siae. In una lettera agli associati il presidente Mogol invita tutti a «contribuire a questa battaglia» ricordando che nel periodo 2010-17 fra le dieci emittenti più ascoltate «soltanto quattro rispetterebbero la soglia del 33%». Una misura del genere, fa notare Mogol, porterebbe «maggiori introiti in diritti d' autore».
Dibattito aperto. Il modello è quello francese che prevede una quota del 40% ma si inserisce in un sistema di sostegno alla musica (e alla cultura in generale) più ampio. Nelle nostre radio, secondo i dati Scf riportati da Rockol , la percentuale di musica tricolore nel 2017 è stata del 31,98%, con alcune emittenti sopra e altre sotto. Autarchia contro varietà di scelta? Le radio non ci stanno. Anzitutto le private.
«Mogol si occupi della trasparenza della Siae e Morelli dell' emergenza trasporti. Se lo Stato impone dovrebbe anche intervenire economicamente, ma non è questo il punto. Siamo in democrazia e nessuno ci può dire quello che dobbiamo fare. La politica smetta di fare campagna elettorale», dice Lorenzo Suraci, presidente del gruppo Rtl 102.5 (la radio più ascoltata, una di quelle in regola con la quota) che controlla anche Zeta (tutta italiana) e Freccia (solo rock anglosassone). Nemmeno la Rai.
CARLA VISTARINI CON I SUOI TELEGATTI
«Una sciocchezza di impostazione comunista come il divieto della musica occidentale in Iran», commenta Giampaolo Rossi del cda di viale Mazzini. Contrario il vicepremier Matteo Salvini: «Non sarà il Parlamento a decidere che musica va in onda».
Non tutti gli artisti sono pronti alla chiamata alle armi di Mogol. «Non siamo fan delle leggi protezioniste - dicono gli Stato Sociale -.
Meglio avere strumenti di mantenimento di chi si occupa di produzione culturale.
Alle radio offriremmo così un bacino di produzione più ampio e professionale di quello attuale che le invogli a passare i brani italiani». Sulla stessa linea gli Ex-Otago: «Siamo perplessi all' idea che la musica possa diventare un obbligo legale. Siamo democratici e le persone/radio che scelgono liberamente per noi non sono una minaccia. Chi prova ad arginare il bello non ci assomiglia». «Assolutamente favorevole» invece Dodi Battaglia che ricorda come Francia e Portogallo, dove ci sono le quote, «hanno saputo reagire e valorizzare la loro cultura».
matteo salvini foto mezzelani gmt34
Enrico Ruggeri cambia passo: «I francesi pronunciano le parole secondo la loro lingua (Bitéls e non Beatles, Rugerì e non Ruggeri) e difendono tutto ciò che parte da loro. Li ammiro. In Italia le radio soffrono non di esterofilia, ma di omologazione, promuovendo spesso (non sempre) musica di scarsa qualità. E il buon gusto purtroppo non si può imporre per legge».
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