ENI NIGERIA
Estratto dall’articolo di Paolo Biondani per www.lespresso.it
Attorno alla corruzione miliardaria dell’Eni in Nigeria è successo di tutto. E dopo mesi di manovre torbide, culminate con un omicidio, il colosso dell’energia controllato dallo Stato italiano deve fronteggiare rischi legali colossali. Il danno finale della maxi-tangente per il petrolio nigeriano potrebbe arrivare fino a 9 miliardi di euro. Una cifra spaventosa.
dan etete ex ministro del petrolio nigeriano
Il presidente della Nigeria ha infatti deciso di cestinare le proposte politiche di chiudere senza processi e senza sanzioni lo scandalo Opl 245, sigla che identifica la controversa licenza per il greggio ottenuta dall’Eni, in alleanza con la Shell, nel paese più popolato del continente nero.
Il ricchissimo giacimento è anche al centro del processo per corruzione internazionale che si aprirà a Milano il 5 marzo, il giorno dopo le elezioni. L’attuale numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi, il suo predecessore, Paolo Scaroni, e altri top manager di Eni e Shell - che respingono tutte le accuse - sono imputati di aver autorizzato il pagamento della tangente più grossa che sia mai stata scoperta dai tempi di Mani Pulite: un miliardo e 92 milioni di dollari. Un fiume di soldi destinati in teoria allo Stato nigeriano ma in realtà intascati interamente da ex ministri, politici e faccendieri legati all’ex presidente Goodluck Jonathan.
estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria
La vicenda s’incrocia con le indagini delle procure di Roma e Messina su una cordata di presunte toghe sporche: magistrati che sarebbero stati comprati da avvocati. Un ex pm di Siracusa, in particolare, è accusato di essersi fatto corrompere da un legale dell’Eni per aprire una falsa inchiesta su un inesistente complotto contro Descalzi, nel tentativo (fallito) di fermare le indagini milanesi. Un intrigo giudiziario di cui resta da capire il movente: perché, pur di bloccare il processo contro l’Eni, si sarebbe arrivati a inventare una fanta-indagine a Siracusa? Come mai era tanto importante fermare i magistrati milanesi?
Goodluck Jonathan
La risposta arriva dalla Nigeria e vale diversi miliardi. L’attuale presidente, Muhammad Buhari, è un ex generale che ha vinto le elezioni nel 2015 promettendo una durissima lotta contro la corruzione, piaga che infesta e impoverisce la nazione africana dai tempi della dittatura di Sani Abacha. Il governo di Buhari è nato però dalla fusione di quattro partiti e alcuni gruppi parlamentari sono ancora condizionati dal clan Abacha.
Anche l’attuale ministro della giustizia, Abubakar Malami, è un avvocato che in passato ha difeso la famiglia dell’ex dittatore. Quando si scopre la maxi-tangente petrolifera, al centro di indagini in Italia, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti, il ministro nigeriano deve aprire una procedura sanzionatoria. Malami affida il caso al capo della procura federale, che dipende da lui. Smentendo le aspettative di insabbiamento, nel 2016 il procuratore nazionale presenta un rapporto esplosivo: gli accordi del 2011 con Eni e Shell vanno considerato «vuoti e nulli»; la Nigeria deve riassegnare la licenza con una nuova gara internazionale. Questo significa che l’Eni rischia di aver pagato un miliardo e 92 milioni per niente. E con la quota della Shell si arriverebbe a 1,3 miliardi di perdita diretta, oltre alle spese già effettuate per esplorare il giacimento sottomarino.
Descalzi Scaroni
Al conto vanno aggiunte le sanzioni, calcolate dal procuratore in base alle «migliori pratiche della giustizia internazionale»: sei miliardi e mezzo di dollari, cinque volte il valore della licenza corrotta. Senza calcolare i costi di riacquisto del giacimento e le altre multe applicabili in Italia e all’estero.
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