j ax fedez
Paolo Giordano per il Giornale
Ma poi non sarà l’unica volta, c’è da scommetterci. J-Ax e Fedez a San Siro davanti a quasi 80mila spettatori. Un record, dicono, perché il palco è centrale con il pubblico tutto intorno, e che pubblico: difficile ricordare tanto entusiasmo, soprattutto adolescenziale, per un concerto di due ore e mezzo che è stato pure trasmesso in diretta radiovisione con 20 telecamere da Rtl 102.5 (anche questo è un segno di cambiamento).
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E difatti, quando la (sempre meno) strana coppia J-Ax e Fedez arriva sul palco l’atmosfera di festa va ben oltre i contorni del concerto. Quello che è stato battezzato «La finale» è in realtà la celebrazione di un cambiamento generazionale che investe ovviamente la musica. Fedez è il più giovane «performer» nella storia di San Siro («Lui è il più giovane, ma io sono il più bello», scherza Alessandro Aleotti detto Ax) e anche per la stragrande maggioranza del pubblico è il primo show in uno stadio. Per tutti è la celebrazione di un successo che, al di là delle valutazioni artistiche, è inequivocabile. Il loro disco insieme, quel discusso e apprezzato «Comunisti col Rolex», è stato il più venduto del 2017 e, tanto per dire, ha accumulato addirittura 25 dischi di platino tra album e singoli come Senza pagare.
Numeri inequivocabili (come quelli del tour sold out) che sono giocoforza uno spartiacque generazionale. Il pubblico cambia, e i gusti pure. E così, mentre gli amplificatori di San Siro diffondevano il rock di band come Kiss o Ac/Dc e Police che riempivano gli stadi per altre generazioni di ascoltatori, la nuova leva del pop italiano si è ritrovata sotto un palco circolare che per due ore e mezza è stata una sorta di ring sul quale i due «pugili» si sono incontrati e hanno incontrato gli ospiti dei loro brani.
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Oggi si dice «featuring», una volta erano «special guests» ma poco cambia. Sicuramente molto special è stato Chris Brave, rapper bergamasco affetto dalla rara tetraparesi spastica che qui, oltre all’inedito La panchina, ha lanciato un crowdfunding per raccogliere fondi e diventare indipendente dai suoi genitori. Coraggiosissimo, c’è da ammetterlo. Comunque, da Levante a Nina Zilli, da Stash dei The Kolors a Malika Ayane, Noemi, Il Cile, Sergio Sylvestre e Gué Pequeno, il palco è diventata una passerella da classifica. Prima quattro brani di J-Ax da solo (bella Pub Song con Grido che entra con due boccali di birra).
Poi quattro di Fedez, tra i quali la «Faccio brutto» del disco che lo ha davvero imposto all’attenzione, ossia «Sig. Brainwash - L’arte di accontentare del 2013». Il tutto mentre trenta ballerini (chiamiamoli «performers») si alternano, ballano e si travestono indossando anche maschere led e diventando parte integrante di uno spettacolo che ha mescolato belle melodie e trash consapevole, rime rap alla maniera di J-Ax e versi come quelli di «Vorrei ma non posto» che sono inequivocabilmente diventati slogan di una stagione. Dopotutto ieri sera a San Siro sono andati in scena due protagonisti ben più che musicali (e anche ironici: «Il nuovo governo? Ci manderà al confino»).
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Entrambi coach di talent show (Fedez a X Factor, J-Ax a The Voice). Entrambi molto trasversali perché, al di là delle apparenze, non li ascoltano solo i ragazzini. E uno, Fedez, decisamente trend setter, dilagante sui social, legato a doppia mandata con Chiara Ferragni nel gossip ormai planetario. E poi, diciamolo, sono due che non si prendono troppo sul serio visto che a un certo punto, sulla pedana astronave che dal centro del palco si alza di parecchi metri in un tripudio di fumi, cantano «Musica del cazzo» (con Fedez alla chitarra elettrica) che è in sostanza una auto-presa in giro dissacrante e, nello stesso tempo, assolutoria. Qui, dentro un San Siro pieno fino all’ultimo anello, non è andato in scena il rito consolidato del concerto rock alla Springsteen, scatenato e alla fine esausto.
Ma è stata più che altro una festa di fine anno per due ore e mezza con picchi d’intensità come nella bella Assenzio (con Stash e Levante) e momenti che fino a pochi anni fa sarebbero stati bollati come «product placement» ma che oggi sono parte dello spettacolo. Ad esempio, cinquantamila ragazzi del pubblico avevano un braccialetto di Google con il logo «J-Ax & Fedez - La finale» che, dopo una gag dei due, si sono accesi contemporaneamente rivelandosi ovviamente un meraviglioso effetto scenografico. Insomma, da quando la rampante Dark Polo Gang ha aperto lo show fino al saluto finale di questi due rapper così vicini e così distanti, il concerto non ha mai perso intensità. E potrebbe non essere davvero l’atto finale. «Per fortuna abbiamo la carta reunion da giocarci in futuro quando avremo finito i soldi», scherzava J-Ax prima di salire sul palco. Ma potrebbe non essere soltanto una battuta. In fondo, eventi del genere lasciano soprattutto la voglia di ripeterli.
chiara ferragni e le sorelle