Gianni Mura per “la Repubblica”
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Giornata strana ma piuttosto istruttiva: la seconda in classifica riceve l’ultima, la prima va sul campo della penultima. Ne escono due pareggi, due partite non banali, a riprova che pure le squadre non metropolitane hanno il diritto di cittadinanza. Tanto Lotito e tutti i presidenti che la pensano come lui non cambieranno idea sui piani futuri. Contro, solo la Juve, e ieri Marotta ha detto la sua, la Roma e forse la Fiorentina. Ma questo è un altro discorso.
Il Cesena ha dimostrato che, aggredita in velocità, la Juve patisce parecchio. Non per colpa del campo sintetico ma sua, del suo atteggiamento da gita-premio, con marcature approssimative e molti palloni persi in disimpegno. Sembra che Bonucci e compagni abbiano bevuto un sonnifero, e tutto il Cesena la pozione dei druidi. A capire il rischio e a strillare forte sono Allegri e Buffon, che para due tiri a Defrel, uno a Ze Eduardo e al quarto Djuric, servito dal solito Defrel, lo infila.
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Il Cesena scotta la Juve ma non può tenere quei ritmi e arrostirla: li abbassa e la Juve colpisce, non una ma due volte. Poi commette il secondo errore: s’illude di poter gestire il gol di vantaggio. Ma non è serata, chi ha più esperienza doveva annusare l’aria. Il terzo errore genera il quarto. Allegri toglie Pogba e non Vidal (uno dei migliori, ma del Cesena). Vidal resta in campo e tira il rigore che s’è guadagnato Llorente. E lo tira fuori. Così la Juve butta via l’occasione di sospingere la Roma a -9, ma il pari è giusto. Il Cesena ha giocato con grande coraggio, Djuric pareva il fratello di Ibrahimovic, Defrel una freccia, ma troppi della Juve erano sbiadite controfigure, nella concentrazione e nella rapidità di movimenti.
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La Roma ringrazia con un fil di voce e resta aggrappata all’ultimo vagone dell’ultimo treno su cui era balzata a Cagliari. All’Olimpico non fa che pareggiare, nemmeno il Parma è riuscito a battere. La verità l’ha detta Florenzi: prima facevamo paura, eravamo più convinti. Già, prima. Delle più vicine per ora all’Europa League le più in salute sono Fiorentina e Lazio. Non era automatico, per Montella, dopo la cessione di Cuadrado. In aggiunta alla lunga assenza di Rossi, alla lunga latitanza di Gomez, in fase di riemersione, a una stagione normale ma non eccezionale di Borja Valero. Conta sempre di più Babacar (due gol e un assist di tacco) e Salah sembra un buon acquisto. Va dato atto alla Fiorentina di aver sempre provato a giocare il suo calcio anche nei momenti meno felici.
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Discorso valido pure per la Lazio, che a Udine esce da un rischioso avvitamento. Fischiata a furor di popolo furlano, anche se non era il caso. Sono le conseguenze della telefonata Lotito-Iodice ma, prima che i fischi diventino una moda domenicale, vorrei dire che un conto è una squadra di calcio, un conto il suo presidente. Vale per la Lazio e per tutte le altre. Ultimo esempio: il Parma. Non è da applaudire chi l’ha ridotto così, ma una squadra che non vede un euro da parecchi mesi e non rinuncia alla sua dignità, quella sì, con Donadoni, merita un applauso.
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Altri applausi al Palermo e in particolare all’azione del terzo gol, uno dei più belli fin qui. La prima punta, Dybala, fa il lancio lungo. La seconda punta, Vazquez, rifinisce di testa. Il centrocampista di fatica, Rigoni, mette dentro al volo. La naturalezza del calcio di Dybala , l’apparente facilità con cui fa le cose più difficili mi porta a dire che già adesso è meglio di Cavani. Poi, può anche sbagliare un gol fatto, come con l’Inter. Come ieri Pinilla. Mancini non s’offenda, ma un pizzico di fortuna serve.
Con Mazzarri in panca, mi sa che Dybala e Pinilla avrebbero segnato. Il resto è merito di Mancini. La costruzione non è ultimata, ma il Guarin di Bergamo (rigore procurato, due gol, un assist) è un altro giocatore. Da paracarro a colonna portante. Da limare qualche distrazione difensiva, l’Atalanta è rimasta in partita fino all’espulsione di Benalouane.
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Se l’Inter comincia ad assomigliare a una squadra e non a un insieme di giocatori, il Milan no. Rimane una non squadra, un bizzarro assemblaggio, un progetto mai decollato. Sembra che la panchina di Inzaghi abbia i giorni contati. Non è tutta colpa sua, ripetiamolo pure, ma chi gli ha consegnato i rinforzi invernali (Paletta, Antonelli, Cerci, Destro) s’aspettava ben altro che vedere l’Empoli fare la voce grossa a San Siro e dire, alla fine, che il pari gli sta stretto. Nel doppio confronto con Verona e alle porte del derby genovese, Gasperini (5-2 al Verona) raggiunge a quota 35 Mihajlovic. E il Chievo (2-1) alla Samp raggiunge a quota 24 il Verona.