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    L’ADDIO DI MESSI? PER IL BARCELLONA È UN AFFARE – L’ANALISTA DI “BLOOMBERG” ALEX WEBB SPIEGA PERCHÉ LA SOCIETÀ CATALANA DOVREBBE APPROFITTARE DELL’OCCASIONE E LASCIAR ANDAR VIA LA PULCE: ANCHE SE NON RIUSCIRANNO A FARSI PAGARE 700 MILIONI, IL MANCHESTER CITY QUALCOSA LO DOVRÀ PUR SBORSARE. AGGIUNTO AL RISPARMIO DELLO STIPENDIO E ALL’EFFETTO DEFLATTIVO SUL MONTE INGAGGI, SARANNO BEI SOLDONI IN UN MOMENTO DIFFICILE


     
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    Gianluca Mercuri per www.corriere.it

     

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    Tra il Barcellona e Lionel Messi è scoppiata la guerra di secessione, con la star che se ne vuole andare e il club che gli chiede di restare o di onorare la gigantesca clausola di rescissione da 700 milioni. Ma la verità è che perdere il loro giocatore più grande per i catalani sarebbe un affare. Un’occasione da non perdere per risollevare i conti e aprire un nuovo capitolo tecnico.

     

    È Alex Webb, su Bloomberg, a dire l’indicibile e a giustificarlo con gli argomenti solidi che richiede l’editoriale di una Bibbia finanziaria come l’agenzia americana.

     

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    L’analista parte della considerazione che il Barcellona è il soggetto sportivo più ricco del mondo, davanti anche ai Dallas Cowboys del football americano. Ma se solo lo 0,5% della sua montagna di ricavi - 837 milioni di euro - si traduce in profitti netti, la prospettiva di liberarsi di uno stipendio annuale da 71 milioni come quello dell’argentino - e dell’effetto inflattivo che ha sulle pretese economiche di tutti i suoi compagni di squadra - non è così orrenda.

     

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    Beninteso, a inaridire il flusso di cassa del Barça è la sua stessa struttura societaria, con 142 mila soci-proprietari che richiedono che tutto l’utile sia reinvestito sul rafforzamento della squadra, e quindi sui giocatori. Così il monte ingaggi ha raggiunto la cifra abnorme di 485 milioni e il club ha cominciato ad arrangiarsi con una continua gimkana tra plusvalenze e ammortamenti, ovvero gli stratagemmi finanziari cui ricorrono in genere società dai fatturati molto inferiori. In più, per statuto, il gigante blauagrana può indebitarsi meno della concorrenza: al massimo il doppio del suo Ebitda (il margine operativo lordo) quando il Manchester United sfiora il triplo.

     

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    Tutti questi conti, naturalmente, avrebbero meno importanza agli occhi di soci e osservatori se i risultati sportivi fossero scintillanti, ma il Barcellona non vince la Champions League da cinque anni, nonostante Messi. Che intanto di anni ne ha compiuti 33. Anche per questo, la sua partenza potrebbe avere un effetto meno scioccante di quanto si possa pensare d’istinto. Difficilmente il club riuscirà a farsi pagare tutti i 700 milioni della clausola, ma - come ha spiegato Mario Sconcerti - qualcosa il Manchester City, che sarà senza il minimo dubbio la prossima squadra della «Pulce», alla fine la dovrà scucire.

     

    Aggiunto al risparmio dello stipendio dell’argentino e al conseguente effetto deflattivo sul monte ingaggi, farà comunque una cifra gigantesca, aria fresca tra due stagioni in cui le entrate sono state abbattute dal virus. Le note finali di Webb non paiono dunque blasfeme: «La maxistar argentina è stato il talismano di quella che a un certo punto è stata considerata la più grande squadra di calcio di sempre, e ha contribuito a trasformare il Barça in una macchina da soldi. Negli ultimi anni, il pacchetto dei suoi compensi ha ampliato i costi con meno risultati. I tifosi si chiedono come sostituire l’insostituibile, ma il declino arriva per tutti. È il momento giusto per premere il pulsante reset».

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