Paolo Russo per “la Stampa”
lombardia ospedali
Anna da Milano. «A mia madre hanno riscontrato a novembre una neoplasia vescicale. Serviva un intervento chirurgico di deviazione urinaria che per carenza di letti no Covid non ha potuto fare. Così è stata dimessa e ha continuato a peggiorare e una persona che un mese fa usciva dall'ospedale sulle sue gambe è allettata, bisognosa di cure costanti h24 con dolori lancinanti ogni volta che urina».
OSPEDALI
Ad oggi il suo intervento non è ancora in agenda. Stefano da Roma. «Prima mi hanno dovuto rimandare l'intervento di sostituzione della valvola aortica, poi non ho potuto fare la riabilitazione cardiologica perché a Roma le cliniche convenzionate che la fanno hanno i reparti chiusi per Covid».
Margaret Cittadino, responsabile della sezione salernitana del Tribunale per i diritti del malato, ha raccolto per noi le testimonianze: «All'ospedale Ruggi di Salerno dopo la chiusura del centro di senologia ci ritroviamo a febbraio con 42 donne in attesa di un intervento chirurgico per un tumore al seno conclamato. Chi può va in clinica privata, le altre restano in attesa senza sapere fino a quando».
COVID OSPEDALI
Storie di ordinaria follia negli ospedali d'Italia, dove la pressione del Covid inizia a calare, ma dove a vedersi negare le cure continuano ad essere i pazienti che il Covid non ce l'hanno. E che finiscono per prenderselo proprio in ospedale. Perché i letti mancano, il personale pure e così nel 50% dei casi non si riescono ad isolare dai positivi asintomatici, come denuncia un'altra indagine di Fadoi, la federazione dei medici internisti ospedalieri.
«I medici chirurghi hanno lanciato l'allarme: tra il 50 e l'80% degli interventi chirurgici sono stati rinviati, anche in area oncologica. Oltre 4 milioni gli screening oncologici rimandati in un anno e mezzo di pandemia. Ora bisogna correre ai ripari, cominciando dalla prevenzione e recuperando le prestazioni rimaste in sospeso» dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
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Appello al quale il ministro Speranza avrebbe già risposto con un miliardo stanziato nelle ultime due leggi di bilancio «per recuperare i forti ritardi nelle visite e negli screening accumulati durante la pandemia». Ma la situazione nella maggior parte degli ospedali resta da bollino rosso. Sempre secondo Cittadinanzattiva il 52,4% dei pazienti denuncia di aver avuto difficoltà a diagnosticare la propria malattia.
Ritardi che a volte possono comprometterne la cura, come nel caso delle malattie oncologiche. Il 40,5% non è riuscito a passare a visita negli ambulatori, chiusi per Covid o con liste d'attesa lunghissime. Un malato su tre si è visto spostare a data da destinarsi l'intervento chirurgico programmato. E in generale il 71% trova la situazione peggiorata rispetto allo scorso anno.
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«Qui in Piemonte, come in altre parti d'Italia, la Regione ha chiesto di ridurre le prestazioni sanitarie non urgenti, salvaguardando i pazienti oncoematologici e quelli che non possono aspettare, come alcuni cardiologici o i traumatizzati», racconta Claudio Nardoi, presidente di Fadoi Piemonte. «Abbiamo molti pazienti positivi con diverse patologie e questo ritarda le loro dimissioni, costringendo a ridurre anche ricoveri ordinari e interventi in sala operatoria».
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«Nei nostri ospedali mancano i letti nei reparti di medicina e così non riusciamo a isolare i positivi che sono ricoverati per altro. Li abbiano dovuti trasferire nelle aree Covid, anche se non ne avrebbero bisogno. Ma questo crea problemi anche logistici. Magari nell'area Covid non c'è una sala operatoria per fare un intervento in endoscopia e siamo costretti a intervenire in modo più invasivo», spiega a sua volta Stefano De Carli, a capo della Fadoi in Friuli.
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«In Lombardia abbiamo tanti pazienti ricoverati con Covid che facciamo fatica ad isolare dai non positivi» conferma Stefano Magnone, segretario regionale del sindacato dei camici bianchi ospedalieri Anaao. «Sento dire che a Roma si sta decidendo di farci mettere i positivi insieme agli altri nei reparti di competenza, ma sarebbe una follia esporre al rischio di contagio pazienti magari fragili». La speranza è che la curva in discesa di contagi e ricoveri faccia quello che politica e manager Asl non hanno saputo fare.