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    SERIE DA PRENDERE SUL SERIO – “L’AMICA GENIALE” NON È IL GRANDE ROMANZO ITALIANO MA CI SI AVVICINA, PERCHÉ RACCONTA L’ITALIA, LA SUA CRISI E NE AUSPICA LA RINASCITA. È L’ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA LA SERIALITÀ D’AUTORE E QUELLA COMMERCIALE: È QUELLO CHE GLI AMERICANI NON PENSANO PIÙ DI NOI, MA CHE VOGLIONO VEDERE – COSTANZO STA SEMPRE UN PASSO INDIETRO, PRONTO A MANDARE AVANTI LA STORIA E LE SUE ATTRICI - VIDEO


     
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    Gianmaria Tammaro per Dagospia

     

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    Finalmente. Dopo tanta attesa, dopo gli spot rilanciati continuamente durante le pause di Sanremo, dopo le ospitate in tv, le chiacchiere post-presentazione e l’anteprima al cinema, “L’amica geniale – Storia del nuovo cognome” arriva in televisione. E quindi ritornano la Lila di Gaia Girace e la Lenù di Margherita Mazzucco, ritorna Saverio Costanzo alla regia e alla sceneggiatura (che firma insieme a Francesco Piccolo, Laura Paolucci e a Elena Ferrante), ritorna quella Napoli un po’ cartolina e un po’ maltrattata, con i rioni che si riempiono, che diventano enormi, e in cui il grigio prende il sopravvento, tra sbuffi fumosi, sporcizia e miseria sempre più misera.

     

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    “L’amica geniale” non è il grande romanzo italiano, ma ci si avvicina, perché racconta l’Italia, la sua crescita, la sua crisi interna, e ne auspica la rinascita. E per proprietà transitiva, “L’amica geniale” si avvicina ad essere anche la grande serie italiana, più sincera di qualunque altra fiction della Rai, capace di immortalare, tra sofferenze e abusi, la verità. La storia di Lila e di Lenù, dopotutto, è sempre stata questa: la narrazione dell’amicizia, dell’amore e dell’emancipazione femminile; dell’importanza di andare oltre quello che si conosce (il rione), di sperimentare l’ignoto (il centro di Napoli prima, il resto d’Italia poi), di essere padroni di sé stessi, di imparare, di conoscersi, di capire.

     

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    Costanzo è bravissimo nel cogliere l’essenza de “L’amica geniale” della Ferrante. Ed è così bravo perché sta sempre un passo indietro, pronto a mandare avanti la storia e le sue straordinarie attrici (visto? Anche le esordienti, o le quasi esordienti, possono recitare come si deve); perché non è padre-padrone del racconto, ma ne è al servizio.

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    E forse è proprio questo il segreto dei migliori adattamenti dalla pagina scritta alla messa in scena: fotografarne l’anima, provare a riportarla, adattando i linguaggi ma senza esagerare; appropriandosi dei dettagli, talvolta addirittura riscrivendoli, ma con cognizione, consapevolmente, occhi aperti e nessuna fretta.

     

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    “Storia del nuovo cognome” è la seconda stagione de “L’amica geniale”, e anche, per la sua costruzione, tutta un’altra cosa. Potremmo cominciare a guardare questa serie da qui, da questo momento, e andrebbe comunque bene. Perché ci sono tutti gli elementi che servono, perché è chiaro chi sono le protagoniste, ed è anche chiaro – anche se ancora a tentoni – qual è il loro destino: una costretta nelle brutture del rione, sposata a un uomo che l’ha tradita, ma dall’intelligenza sopraffina, dal carisma travolgente; l’altra più timida e introversa, armata di impegno, pronta a dare tutta sé stessa per rimanere al passo con l’altra. Lila e Lenù sono facce della stessa medaglia, sono figlie della stessa terra, e condividono le stesse radici.

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    E poi c’è il napoletano, che è la lingua che le due protagoniste parlano, la lingua del rione, della loro infanzia, la lingua che tutti usano. L’italiano è il nemico: se parli italiano sei ricco, sei forestiero, hai qualcosa da nascondere, e non sei sincero. Il napoletano è lo specchio dell’anima; l’italiano è un pozzo nero e profondo. E c’è la questione del Sud, c’è il boom economico, che passa dall’apertura di nuovi negozi e di nuovi prosperosi affari. C’è la guerra, c’è il servizio militare, e c’è la scuola: isola deserta di un mare anonimo che va evitata come la peste.

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    “L’amica geniale” è l’anello di congiunzione tra la serialità d’autore e la serialità più commerciale; è quello che gli americani non pensano più di noi, ma che vogliono vedere (e infatti, a bordo del progetto, insieme a Rai, a The Apartment e a Wildside, entrambe parte di Fremantle, che producono e a Fandango, c’è anche Hbo). È la televisione pubblica che finalmente dà il suo meglio, ed è anche la prova che il piccolo schermo, come quello più grande e maestoso della sala, ha qualcosa da dire. Anche qui da noi, anche per una sera. Perché le storie belle sono belle a prescindere, e perché continuare a domandare “cos’è meglio, cos’è peggio” non ha più senso. Quella di Lila e Lenù è una serie senza tempo, per tutti, meravigliosa.

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