Antonio Riello per Dagospia
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Per il suo alto gradiente simbolico il sangue umano è sempre stato corteggiato dagli artisti contemporanei. La violenza, la corporeità, la vitalità, il coraggio, la sofferenza, la discendenza, l'identità biologica: per l'artista-vampiro sono davvero tante le buone ragioni per cadere in tentazione.
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L'Azionismo Viennese ne ha fatto un proprio elemento caratteristico, sia Rudolf Schwarzkogler (1940-1969) che Hermann Nitsch (1938-2022) ne hanno impiegato parecchio. In realtà Nitsch nei suoi numerosi emo-dipinti ed emo-installazioni faceva uso di sangue di animali precedentemente "sacrificati" allo scopo. Le denuncie e lo scandalo dei "benpensanti" hanno saldamente accompagnato il suo lungo percorso creativo.
ravi chander gupta
Sempre negli anni '60, in un ambito concettuale leggermente diverso, l'artista Italo-Francese Gina Pane (1939-1990) in alcune sue celebri performance si ferisce iniziando poi a sanguinare copiosamente. In seguito, anche la straordinaria (e prematuramente scomparsa) artista Cubana Ana Mendieta (1948-1985) farà largo uso del prezioso fluido nelle sue opere. E così pure l'Anglo-Italiano Franko B (1960), coraggioso performer di radicale temperamento.
ana mendieta
Un impiego più complesso ed affascinante è quello escogitato dal Britannico Marc Quinn (1964) che con il progetto "SELF" (iniziato nel 1991 e tuttora in corso) realizza una serie di autoritratti, in forma di busto, utilizzando solo il proprio sangue (circa 5 litri per ciascuna scultura). Un ambiente ad alta refrigerazione permette che le opere rimangano solide e si conservino nel tempo. La National Portrait Gallery di Londra nel 2006 ha acquistato uno dei suoi emo-busti.
Ma in India, negli ultimi anni, l'uso del sangue per realizzazioni artistiche (o comunque ritenute tali) sta diventando una pratica sempre più diffusa. La setta Shaheed Smirti Chetna Samiti (la Società per mantenere la Memoria dei Martiri) ha fatto dipingere dai suoi adepti più di 250 tele usando proprio quella specie di "inchiostro rosso" che scorre nelle arterie. Lo scopo è sostenere il senso patriottico dell'Identità Indiana, in questo caso il sangue come metafora di lealtà e sacrificio.
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Il fondatore della setta, Ravi Chander Gupta, ha donato sangue per più di 100 opere e il suo successore si sottopone regolarmente a donazioni ematiche per fornire materiale agli artisti-patrioti. La figura eponima di questo gruppo è Subhas Chandra Bose, un nome molto noto nell'immaginario politico Indiano. Un eroe muscolare dell'indipendenza dal giogo coloniale Britannico, ma certamente non privo di lati oscuri (grande sostenitore di Hitler, arruolò diverse centinaia di Indiani nelle legioni naziste).
Lo stesso Gandhi era (in maniera meno truculenta) ossessionato dal sangue. Il termine ricorreva molto spesso (e volentieri) nelle sue conversazioni private e pubbliche, non mancava inoltre di misurarsi pubblicamente la pressione arteriosa più volte al giorno. Il sangue del popolo Indiano per il Mahatma era una sorta di simbolo anti-colonialista.
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Non mancano i ritratti dell'attuale Primo Ministro Narendra Modi realizzati dai suoi fanatici sostenitori con trasfusioni estemporanee. Ma soprattutto nel paese sta diventando virale scrivere lettere con il proprio sangue: suppliche, proteste o semplici attestati di devozione e/o solidarietà. Molti partiti organizzano e strombazzano delle campagne propagandistiche per dimostrare, attraverso la pratica della donazione di massa, la fedeltà dei propri elettori.
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Il sangue però è anche, da sempre (naturalmente non solo nel subcontinente Indiano), un sinistro sinonimo di "purezza" per gli aspiranti nazionalisti e ovviamente per i razzisti più beceri. Insomma l'anticamera della discriminazione che facilmente sfocia nella violenza settaria. Il sangue mestruale è, d'altra parte, un elemento costante di quelle tradizioni che considerano la donna un essere "impuro". Un antico e furbo pretesto (comune peraltro a molte religioni) per penalizzare/sfruttare il genere femminile.
Nel 2019 Jabob Copeman e Dwaipayan Banerjee hanno scritto un libro su questo particolarissimo risvolto della vita politica Indiana: "HEMATOLOGIES: The Political Life of Blood in India". Gli autori raccontano che il gesto di donare il sangue ha anche un risvolto politico concreto: il Partito Comunista Indiano ha chiesto ai propri iscritti di donare il sangue per poterlo poi vendere e con il ricavato finanziare progetti di pubblica utilità. Un modo pratico e sicuro per recuperare fondi. Speriamo solo non venga in mente qualcosa del genere a qualche politico italiano troppo "creativo" (al momento, per fortuna, il libro è disponibile solo in lingua inglese).
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