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    SI MUOVE PUTIN, SI FERMA ERDOGAN - L’AVANZATA DELLE TRUPPE TURCHE VIENE RALLENTATA DALLO SCHIERAMENTO DEI RUSSI COME FORZA DI INTERPOSIZIONE - ZAR VLAD STA DANDO IL TEMPO AI SOLDATI DI ASSAD DI RIPRENDERE KOBANE MA ERDOGAN NON VUOLE FERMARSI: IL SUO OBIETTIVO È QUELLO DI CONQUISTARE PIÙ TERRENO POSSIBILE PER METTERE AL SICURO LE FRONTIERE E RIMANDARE A CASA I RIFUGIATI…


     
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    Simona Verrazzo per “il Messaggero”

     

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    Svolta sul terreno in Siria. Dopo alcuni giorni di prudenza, almeno dal punto di vista delle dichiarazioni ufficiali, ieri Vladimir Putin ha deciso di scendere in campo per frenare l'offensiva della Turchia nel nord della Siria. Da ieri pomeriggio, infatti, l'esercito del presidente Assad ha il «totale controllo» di Manbij, località strategica a ovest del fiume Eufrate, alle cui porte stavano facendo pressione le milizie arabe filo-Ankara.

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    La loro avanzata è stata bloccata sul nascere dall'arrivo delle truppe di Damasco, dopo che la Coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa aveva ufficializzato due giorni fa il suo ritiro, e dallo schieramento della polizia militare russa come forza d'interposizione sul perimetro della città, «lungo la linea di contatto tra gli eserciti siriano e turco».

     

    LA MOSSA

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    Un intervento che segna il primo vero rallentamento dell'incursione turca, nel settimo giorno dell'operazione militare Fonte di pace. Anche Kobane sembra ormai fuori portata, con i soldati di Assad scortati dai russi pronti a occupare anche lì il posto lasciato vacante dagli americani. Ma il presidente turco non ha nessuna intenzione di allentare la pressione. «Presto - ha detto Erdogan - metteremo in sicurezza» l'intero confine turco-siriano «da Manbij al confine con l'Iraq». L'obiettivo di Ankara è quello di conquistare più terreno possibile per mettere al sicuro le frontiere e rimandare a casa i rifugiati.

     

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    «Un milione in una prima fase, due milioni in una seconda tappa», ha spiegato Erdogan. Che ha poi aggiunto: «Abbiamo salvato dall'occupazione dei terroristi mille chilometri quadrati di territorio». E dalle colonne del Wall Street Journal è tornato a minacciare l'Europa: «La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati».

     

    Dell'offensiva turca ne parleranno oggi a Bruxelles gli ambasciatori Nato e a porte chiuse si riunirà anche il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Sul campo, dopo il ritiro da Manbij e Kobane, i marines americani stanno abbandonando tutte le altre postazioni. A parte una piccola guarnigione che resterà nella base di Al Tanf, nel deserto siriano, i circa mille soldati a stelle e strisce finora in Siria verranno dislocati in Iraq e Giordania.

     

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    IL VUOTO RIEMPITO

    Un vuoto subito riempito dai militari siriani e russi, in una staffetta di fatto che ha tagliato fuori le truppe di Ankara. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), fino a ieri sera l'esercito di Damasco non era ancora entrato a Kobane. Ma il passaggio di consegne sarebbe ormai questione di ore.

     

    Nell'area al centro dell'operazione turca gli scontri proseguono invece senza sosta. Raid d'artiglieria hanno preso di mira per diverse ore Tal Abyad e l'offensiva prosegue anche a Ras al Ayn. I curdi continuano a rispondere con raffiche di mortai verso le zone di confine, dove ieri sono morti altri due civili più a est, nella provincia di Mardin, portando a 20 il totale delle vittime in Turchia.

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    LE VITTIME

    Sul fronte curdo i morti tra la popolazione sono invece almeno 90, tra cui 21 minori, secondo l'ultimo bollettino dell'Ondus. Per Ankara, sono oltre 600 i combattenti nemici uccisi. Una cifra che l'Ondus fissa invece a 158, a fronte di 121 miliziani filo-turchi morti. Sempre più drammatica è la situazione degli sfollati interni, fuggiti dalle località di frontiera nelle provincie di Hasakah e Raqqa verso le zone interne.

     

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    Secondo l'amministrazione del Rojava, i profughi sono 275 mila, tra cui 70 mila minori, come peraltro già denunciato nei giorni scorsi dall'Unicef. Ad aggravare la situazione è anche la fuga delle ong internazionali, tra cui Medici Senza Frontiere, il cui personale sta lasciando in queste ore il nord-est della Siria, soprattutto per il timore di restare intrappolato dopo l'arrivo delle forze di Assad, che ritengono la presenza di organizzazioni straniere nell'area, anche umanitarie, una forma di occupazione.

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