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Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
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Mercoledì arriva sui tavoli di Bruxelles un documento dopo il quale niente sarà più come prima, nella guerra economica fra Russia e Occidente che corre parallela a quella in Ucraina. Non lo sarà per l'Unione europea, né per gli Stati Uniti o la Russia, né per il resto del mondo.
Formalmente si tratta di una proposta della Commissione Ue ai governi per ridurre i proventi del petrolio russo nell'Unione europea. Per la prima volta un'area economica che rappresenta quasi il 15% delle importazioni globali di greggio cercherà di colpire il secondo più grande esportatore. Qualunque sarà l'esito, le conseguenze sono destinate a ripercuotersi ovunque.
L'embargo
Un embargo totale di Bruxelles può togliere fino a duecento miliardi di dollari l'anno di entrate all'economia russa, se si conta anche il prodotto raffinato. Almeno provvisoriamente però il blocco taglierebbe fuori dal mercato circa il 5% delle esportazioni mondiali, lanciando la prima area economica del pianeta in una caccia ad altre forniture nel resto del mondo.
I prezzi del greggio e del carburante salirebbero per tutti, anche negli Stati Uniti, fino a mettere in difficoltà i democratici di Joe Biden nelle elezioni di mid-term per il Congresso in autunno. Non a caso nei giorni scorsi l'amministrazione americana, con la segretaria al Tesoro Janet Yellen, ha invitato l'Europa alla prudenza. Di qui il meccanismo messo a punto riservatamente fra Bruxelles e Washington, per essere proposto ai 27 governi in settimana.
Che sia approvato non è certo. Ma la sua sola comparsa sui tavoli negoziali è destinata a trasmettere un'onda di choc anche a tutti i Paesi produttori di petrolio, alla Cina e agli altri governi che oggi mantengono un approccio aperto verso Mosca.
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La proposta di Bruxelles prevede un tetto pre-determinato al prezzo che l'Unione europea è disposta a riconoscere ai produttori russi per il loro petrolio. Esso sarebbe sensibilmente più basso sia delle quotazioni del mercato internazionale, sia dei prezzi a sconto ai quali gli importatori oggi trattano il petrolio degli Urali.
Ma un simile meccanismo sarebbe impossibile da imporre su un prodotto che in gran parte viaggia liberamente via nave (solo Germania, Austria, Ungheria e Slovacchia ricevono parte del greggio russo via oleodotto). I produttori siberiani potrebbero sempre ridirigere i loro barili nel resto del mondo, nei Paesi che non applicano le sanzioni europee e sono disposti a pagare un prezzo più alto. Solo Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada praticano un embargo totale sull'oro nero di Vladimir Putin, ma Cina, India, America Latina e Paesi africani restano aperti.
L'intervento Usa
Qui entra in gioco l'azione di supporto di Biden alle sanzioni europee: l'amministrazione di Washington minaccerebbe di tagliar fuori dalle transazioni con imprese e su mercati americani qualunque Stato o azienda al mondo compri petrolio russo a prezzi superiori ai tetti indicati dall'Ue. I prezzi ridotti per Putin decisi a Bruxelles diventerebbero così i prezzi globali per la Russia.
Tutti dovrebbero adeguarsi, per non perdere accesso alla maggiore superpotenza globale. Si profila così un uso sempre più deciso della forza economica per la pressione strategica. Gli Usa hanno già applicato vincoli simili anche sulle imprese europee che facevano affari in Iran. Ma lo stesso schema su scala globale contro un Paese delle dimensioni della Russia, su un prodotto strategico come il greggio, sarebbe un salto di qualità.
Di certo permetterebbe all'Europa di continuare a ricevere il greggio di Mosca, riducendo i pagamenti. Ma la reazione nel resto del mondo - Cina, India, Paesi dell'Opec - resta tutta da misurare. Anche per questo non è ancora detto che la proposta passi al vaglio dei governi europei. Altre idee più blande potrebbero farsi largo: una prevede la riduzione solo lenta e graduale delle importazioni. Intanto l'offensiva russa nel Donbass minaccia parte delle forniture di gas russo all'Europa e all'Italia. I militari di Mosca ieri hanno occupato uno snodo del gasdotto a Lugansk, da cui passa un terzo del metano diretto a Occidente. L'Ucraina minaccia di tagliare il transito, che però potrebbe essere spostato su altre rotte.
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