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    "L'EPIDEMIA È PARTITA DALL'OSPEDALE DI ALZANO" - PARLA IL SINDACO DI NEMBRO, LA PROCURA PRONTA A INTERROGARE I MEDICI DELLA STRUTTURA CHE RICOSTRUISCONO QUELLE ORE DRAMMATICHE – “IL 23 FEBBRAIO È ARRIVATA LA CHIAMATA DEL DIRETTORE GENERALE WELFARE DELLA REGIONE LOMBARDIA CAJAZZO (NEL FRATTEMPO RIMOSSO). CI DISSE CHE C’ERA ALMENO UN MALATO DI COVID IN OGNI PROVINCIA, E NON SI POTEVA CHIUDERE…”


     
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    Claudia Guasco per “il Messaggero”

     

    claudio cancelli claudio cancelli

    Da «atto dovuto» a inchiesta complessa e articolata. Dopo le audizioni del premier Giuseppe Conte, dei ministri Lamorgese e Speranza, le indagini sulla mancata zona rossa di Alzano e Nembro passano al secondo livello. I pm bergamaschi del pool guidato dal procuratore aggiunto facente funzione Maria Cristina Rota convocheranno questa settimana altre persone informate sui fatti, a cominciare dai medici, e approfondiranno due filoni dell'inchiesta che a questo punto si intrecciano.

     

    Quella sull'ospedale di Alzano Lombardo, riaperto in una manciata di ore il 23 febbraio dopo i primi casi di Covid, e il fascicolo sull'isolamento mai avvenuto dei due comuni focolaio nella bassa Val Seriana.

     

    Il principale nodo da sciogliere è: se il 3 o 4 marzo, quando esercito, polizia e carabinieri erano già schierati e pronti a eseguire l'ordine, Alzano e Nembro fossero stati sigillati, il contagio sarebbe stato meno disastroso o era comunque troppo tardi? Per il sindaco di Nembro Claudio Cancelli la mossa era comunque tardiva: «O si chiudeva a fine febbraio, oppure bisognava isolare una porzione ben più ampia del territorio», afferma.

     

    cajazzo cajazzo

    La Procura di Bergamo ha nominato quindi un collegio di consulenti, chiamato a ricostruire l'evoluzione dei dati epidemiologici delle due cittadine dall'inizio di marzo e a stabilire se sussista un nesso causale tra la chiusura mai avvenuta e il record di mortalità sul territorio.

     

    I NUMERI

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    La progressione è stata inarrestabile: stando ai dati ufficiali - ma secondo i medici di famiglia sono decisamente sottostimati - nell'ultima settimana di febbraio in provincia di Bergamo i positivi erano 72, di cui 19 a Nembro con tre morti. Tra il 28 febbraio e il primo marzo lo scenario precipita, in due giorni i casi sono 25 in più a Nembro e 12 in più ad Alzano. Il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico consiglia al premier Conte di chiudere tutto, ma non se ne fa nulla: i contagiati salgono a 58 a Nembro, a 26 ad Alzano e nella bergamasca i morti sono già 423. Il 9 marzo, quando scatta il lockdown nazionale, Nembro ha 107 malati e Alzano 55.

     

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    Di zona rossa non se ne parla più, finché l'11 maggio i magistrati di Bergamo convocano Luigi Cajazzo, direttore generale Welfare della Regione Lombardia nel frattempo rimosso dal ruolo e nominato dal governatore Attilio Fontana vicesegretario generale della Regione.

     

    Dice Cajazzo ai magistrati: la decisione di riaprire il pronto soccorso di Alzano Lombardo il 23 febbraio, dopo l'accertamento dei primi due casi di coronavirus, «è stata presa in accordo con la direzione generale dell'Asst di Bergamo est», poiché è stato assicurato che era «tutto a posto». I locali «erano stati sanificati e c'era già i percorsi separati Covid e no Covid».

     

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    Ciò che hanno riferito i medici, in realtà, è ben diverso: «Il 23 febbraio è arrivata la chiamata del direttore generale Cajazzo, che ha detto: non si può fare, perché c'è almeno un malato di Covid in ogni provincia, non possiamo chiudere oggi Alzano, tra due ore Cremona. Quindi riaprite tutto».

     

    Per il sindaco Cancelli l'epidemia in Val Seriana, che si è spostata verso nord mettendo in ginocchio Bergamo, è partita proprio dall'ospedale: il virus è entrato dal pronto soccorso ed è dilagato nel reparto di medicina generale, dove si è ammalato anche il primario.

     

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    Stabilire tempi ed eventuali errori, a questo punto, è fondamentale anche per capire se il contagio tra le corsie avrebbe reso necessaria una zona rossa in tutto il territorio. I magistrati incroceranno le dichiarazioni raccolte a Palazzo Chigi e in Regione con le direttive e i dati dell'epidemia, per capire se la mancata zona rossa sia stata una scelta politica o si configuri il reato di epidemia colposa.

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