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    LA MOGLIE SANGUISUGA E’ COME IL DIAMANTE: E’ PER SEMPRE! - NON BASTA L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO E I BENEFIT POST SEPARAZIONE: L’EX CONIUGE HA DIRITTO DI METTERE LE MANI ANCHE SU PARTE DEL TFR DEL MARITO ANCHE SE SONO PASSATI DIECI ANNI DALLA FINE DEL MATRIMONIO - LO HA DECISO UN GIUDICE DI TORINO CHE HA CONDANNATO UN AGENTE ASSICURATIVO A…


     
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    Nino Materi per “il Giornale”

     

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    Niente, non si può stare tranquilli neppure dopo 10 dal divorzio. La ex moglie sanguisuga è come un diamante: per sempre. Non basta l' assegno di mantenimento e i vari free benefit post separazione: la coniuge del «bel tempo che fu» ha diritto di mettere le mani anche su parte del Tfr (trattamento di fine rapporto: sì, insomma, la liquidazione) del marito.

     

    E poco importa se la fatidica buonuscita sia stata liquidata al povero cristo dieci anni dopo che si è diviso dalla consorte: lei, la «buonentrata», la pretende. Le spetta. A sancirlo è stato un giudice di Torino che ha condannato un agente assicurativo a versare alla donna 94 mila euro, pari al 40% della somma totale del Tfr.

     

    Il convenuto ha replicato che il denaro dalla compagnia al termine dell' attività professionale non era un vero e proprio Tfr, «perché il suo era di fatto un lavoro autonomo»; quindi, in base alla giurisprudenza della Cassazione, l' ex moglie non aveva diritto alla somma. Secondo i giudici torinesi, però, non lo ha dimostrato: e l' onere della prova, su questo aspetto, spettava a lui.

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    La Cassazione, nel 2016, ha affermato infatti che non tutti i denari percepiti da un coniuge devono essere assoggettati al prelievo. Sfuggono, per esempio, i ricavi originati da un' attività di «natura imprenditoriale» esercitata «mediante una complessa e articolata struttura organizzata con vasta dotazione di mezzi e personale».

    I due contendenti si sposarono nel 1976 e divorziarono nel 2004. Lui cominciò a lavorare per l' agenzia di Rivoli (Torino) di una compagnia assicuratrice nel 1990 e smise nel settembre del 2014.

     

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    Il 13 febbraio 2015 gli arrivarono i quasi 200 mila euro e lei (che percepiva un assegno di mantenimento e che nel frattempo non si era risposata) chiese la sua parte. L' uomo ha tentato di spiegare che «non si poteva parlare di Tfr in quanto non era un dipendente; tanto è vero che si avvaleva di sub agenti e di altro personale».

     

    Ma la difesa della donna ha contrattaccato, documenti alla mano: «L' ufficio aveva degli orari di apertura indicati dalla compagnia, gli agenti avevano l' obbligo dell' esclusiva e non si assumevano rischi, la gestione dei sinistri era eterodiretta». «Elementi - hanno spiegato gli avvocati - che fanno propendere per la natura subordinata del rapporto di lavoro».

     

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    I giudici della settima sezione civile hanno così dato ragione alla donna. Poi si è messo mano alla calcolatrice, prendendo in esame solo i quattordici anni (dal 1990 al 2004) di coincidenza piena fra matrimonio e rapporto di lavoro. Fatta la proporzione, le toghe hanno concluso per 94 mila euro: il 40% del totale, esattamente la somma richiesta dall' ex moglie.

     

    Ora - sotto il profilo giurisprudenziale - sarà interessante compito se, in caso di appello, la sentenza resisterà ai nuovi orientamenti della Cassazione nel 2017 in materia di assegno di divorzio e ai disegni di riforma della legge che sono in preparazione alla Camera.

    La «maledizione del diamante» continuerà per sempre?

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