Estratto dell'articolo di Paolo Mastrolilli per www.repubblica.it
conte trump
"Avevo allertato il presidente che avrei preso questi contatti, e gli chiesi di menzionare l'inchiesta di Durham ai primi ministri dei tre Paesi, sottolineando l'importanza del loro aiuto". Così scrive l'ex segretario alla Giustizia William Barr a pagina 301 del suo libro One Damn Thing After Another, rilanciando l'interrogativo se l'ex premier Giuseppe Conte abbia detto tutta la verità al Copasir e al Paese, riguardo il suo intervento nell'inchiesta sul "Russiagate".
Perché il presidente a cui si riferisce Barr è Donald Trump, e i primi ministri a cui gli chiede di parlare dell'indagine condotta dal procuratore Durham sono quelli di Italia, Gran Bretagna e Australia. Un tassello importante di questa misteriosa vicenda, che diventa ancora più significativo alla luce del fatto che l'ex capo della Casa Bianca è stato incriminato proprio per la gestione inappropriata delle informazioni segrete di intelligence, tra cui potrebbero figurare anche quelle ricevute dai servizi italiani.
William Barr - libro One Damn Thing After Another
Nel 2019 il presidente Donald Trump si convince che il "Russiagate" è stato confezionato in Italia, dai servizi di Roma sotto la guida del premier Renzi alleato di Hillary, e dagli agenti dell'Fbi a lui ostili come il capo a via Veneto Michael Gaeta.
Tutto nasce dalle accuse dell'ex consigliere George Papadopoulos, secondo cui a passargli la polpetta avvelenata sulle mail di Clinton rubate dai russi era stato il professore della Link Campus University Joseph Mifsud, durante un incontro nella nostra capitale. Perciò il capo della Casa Bianca chiede all'Attorney General di andare a indagare.
Il protocollo vorrebbe che il segretario alla Giustizia contattasse il suo omologo per spiegare cosa cerca, per poi lasciargli gestire il caso. Barr invece scavalca tutti. Si rivolge all'ambasciata italiana a Washington e ottiene un incontro con il capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza Gennaro Vecchione, leader dei servizi di intelligence italiani, autorizzato direttamente dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
conte trump
La mattina del 15 agosto 2019, secondo i documenti del dipartimento alla Giustizia sulla missione, che La Repubblica ha ottenuto nel rispetto delle leggi americane, l'Attorney General atterra a Ciampino e va a messa nella chiesa cattolica di St. Patrick, a due passi dall'ambasciata americana di via Veneto. Alle 17 va in piazza Dante 25, sede del Dis, per incontrare Vecchione. Secondo lo schedule di Barr, però, alle 18,45 l'intero gruppo si dirige verso piazza delle Coppelle per una cena di due ore al ristorante Casa Coppelle, mai rivelata ufficialmente.
Un paio di settimane dopo Conte va al G7 di Biarritz, mentre a Roma si decide il futuro del suo governo. Il 27 agosto 2019 Trump lo appoggia, con questo messaggio su Twitter: "Comincia a mettersi bene per l'altamente rispettato primo Ministro della Repubblica Italiana, Giuseppi Conte... Un uomo di grande talento, che speriamo resti primo Ministro".
william barr
Il 27 settembre Barr torna a Roma per rivedere Vecchione, presumibilmente allo scopo di ricevere le informazioni raccolte dai nostri servizi dopo il primo appuntamento del 15 agosto. Quando la missione segreta di Barr viene scoperta, il Copasir chiede spiegazioni al presidente del Consiglio. Conte difende la legalità delle visite e sottolinea due punti: "Non ho mai parlato con Barr", e "i nostri servizi sono estranei alla vicenda".
Poi ai giornalisti dice: "Qualcuno ha collegato il tweet di Trump a questa inchiesta. Non me ne ha mai parlato. La richiesta risale a giugno 2019 ed è pervenuta da Barr. Ha domandato di verificare l'operato degli agenti americani, col presupposto di non voler mettere in discussione l'operato delle autorità italiane dell'intelligence".
conte trump
Se così fosse stato, il premier avrebbe autorizzato il segretario alla Giustizia ad incontrare i vertici dei servizi italiani per ricevere informazioni compromettenti sui colleghi dell'Fbi, tipo Gaeta, con cui poi i nostri agenti lavoravano ogni giorno per garantire la sicurezza del paese.
Quindi sul 15 agosto Conte aggiunge: "Si è trattato di una riunione tecnica con il direttore del Dis Vecchione, che non si è svolta all'ambasciata americana, né in un bar, né in un albergo, come riportato da alcuni organi di informazione, ma nella sede di piazza Dante del Dis". Nello schedule ufficiale di Barr però c'è anche la cena a Casa Coppelle, che poi Vecchione ha confermato, descrivendola come un incontro conviviale.
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L'ex premier dice che la visita di Barr non aveva come oggetto un'ipotesi di cooperazione giudiziaria, e perciò sarebbe stato improprio indirizzarlo al suo omologo. Ciò però è smentito dalla pratica inoltrata successivamente dal procuratore Durham, che ha effettivamente richiesto alle nostre autorità giudiziarie e di polizia di interrogare Mifsud, come si fa appunto nei casi di cooperazione giudiziaria, ma non è stato accontentato perché la domanda non reggeva sul piano tecnico.
Conte trump
Conte infine sottolinea che Barr indagava sugli agenti americani, non italiani, ma così apre un altro caso. Il premier infatti avrebbe autorizzato il segretario ad incontrare i nostri servizi per ricevere informazioni compromettenti sui colleghi dell'Fbi, tipo il capo a Roma Michael Gaeta, con cui poi i nostri agenti dovevano lavorare ogni giorno per garantire la sicurezza del Paese, mettendola così a rischio a causa dei potenziali attriti con gli agenti Usa in Italia.
Conte infine dice che la sua decisione ha contribuito alle buone relazioni tra Roma e Washington, ma ora sappiamo che era un'iniziativa presa da Trump per il proprio interesse personale ed eventualmente elettorale, non per la sicurezza nazionale dei due Paesi.
donald trump william barr
Nel suo libro, Barr chiarisce così l'episodio: "Nella primavera e l'inizio dell'estate del 2019, quando John (Durham) e io discutemmo la dimensione internazionale del suo lavoro, ci accordammo per coinvolgere tre paesi che sentivamo sarebbero stati più utili all'investigazione: Regno Unito, Australia e Italia. Io cominciai contattando gli ambasciatori di questi paesi, e in seguito ebbi discussioni con alti funzionari in ciascuno di essi. Andai tanto in Italia, quanto nel Regno Unito, per spiegare l'inchiesta di Durham e chiedere qualsiasi assistenza o informazione che potessero fornire". Quindi arriva la frase chiave su Conte: "Avevo allertato il presidente che avrei preso questi contatti, e gli chiesi di menzionare l'inchiesta di Durham ai primi ministri dei tre Paesi, sottolineando l'importanza del loro aiuto".
GIUSEPPE CONTE E DONALD TRUMP
Ora l'ex presidente del Consiglio potrebbe sostenere che la conversazione con Trump sollecitata da Barr non è mai avvenuta, ma ciò sarebbe molto sorprendente. L'inchiesta sul "Russiagate" era l'iniziativa politica più importante per il capo della Casa Bianca.
Aveva chiesto personalmente al segretario alla Giustizia di lanciarla, spingendolo ad agire. Barr aveva obbedito, prendendo contatto con le autorità italiane e visitando il nostro paese. Quindi aveva chiesto a Trump di parlare dell'inchiesta con Conte, per sensibilizzarlo sulla sua importanza e chiedergli "qualsiasi assistenza o informazione" che potesse fornire.
cristopher steele 1
Quanto è probabile che poi Donald non abbia dato seguito alla sollecitazione di Barr, evitando di parlare dell'indagine col presidente del Consiglio? In questi casi non serve una lunga conversazione, basta un accenno per capirsi. Non farlo sarebbe stato un comportamento contrario agli interessi di Trump, e certamente fuori carattere per un capo della Casa Bianca che, come abbiamo visto dall'incriminazione del procuratore Jack Smith, non si faceva certo troppi scrupoli sull'uso personale dell'intelligence.
Il ruolo dell'Italia è confermato e chiarito dal rapporto appena pubblicato da Durham. La giornata chiave è il 3 ottobre del 2016, in piena campagna presidenziale fra Trump e Hillary Clinton, quando a Roma si incontrano cinque personaggi molto importanti.
l agente del dipartimento di stato usa che secondo bradley johnson e' invischiato nel complotto delle elezioni in usa
Di due conosciamo l'identità, sono l'analista supervisore dell'Fbi Brian Auten e l'ex capo del Desk Russia all'MI6 Chris Steele. Gli altri vengono identificati solo come Special Agent-2, Acting Section Chief-1 e Handling Agent-1, ma sono pezzi grossi del Federal Bureau of Investigation. Sono nella capitale italiana per vedere l'ex agente segreto britannico, autore del famoso dossier sulle relazioni pericolose fra Trump e Mosca, all'origine del "Russiagate". Vogliono offrirgli un milione di dollari, se riuscirà a provare le sue accuse contro il candidato repubblicano alla Casa Bianca. […]
Ora però ci sono nuovi sviluppi che rilanciano gli interrogativi, e l'incriminazione di Trump forse rende ancora più urgenti i chiarimenti. Almeno quattro sono le domande che il Copasir, guidato adesso da Lorenzo Guerini, dovrebbe essere interessato a chiedere a Conte.
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Primo: la conversazione tra l'ex capo della Casa Bianca e l'ex premier, caldeggiata da Barr, era avvenuta? Se sì, cosa si erano detti? Se no, era stata ricevuta una richiesta e rifiutata? Conte era a conoscenza delle potenziali notizie di reato rivelate dai servizi italiani al segretario alla Giustizia americano, e di cosa si trattava? Ne va della sicurezza nazionale italiana, e potenzialmente dei futuri equilibri globali. Perciò sarebbe essenziale ricevere le risposte.
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