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    L'INCIDENTE DI CHERNOBYL MIETE ANCORA VITTIME - SI È SUICIDATO A 75 ANNI UNO DEI PRIMI SOCCORRITORI CHE, LA SERA DEL DISASTRO NEL 1986, CORSE DENTRO LA CENTRALE NUCLEARE PER SALVARE LE PERSONE RIMASTE INTRAPPOLATE - VIKTOR SMAGIN NON NE POTEVA PIÙ DEI DOLORI DOVUTI DALLA "MALATTIA ACUTA DA RADIAZIONI" CHE, PER TUTTA LA VITA, LO HANNO TORMENTATO - LA SERA DEL 22 OTTOBRE SI È GETTATO DAL TERRAZZO DI CASA SUA A MOSCA...


     
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    Estratto dell’articolo di Rosalba Castelletti per “La Repubblica”

     

    VIKTOR SMAGIN VIKTOR SMAGIN

    Fu suo malgrado uno dei primi likvidatory, “liquidatori”. Uno dei primi a combattere contro il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl esploso il 26 aprile del 1986. Viktor Smagin era il supervisore di quello sciagurato quarto blocco, la “Bestia”, come venne chiamato.

     

    Quel fatidico giorno di primavera avrebbe dovuto prendere servizio soltanto alle 8 del mattino, ma quando di notte scorse il disastro dal suo appartamento al quattordicesimo piano si precipitò nella centrale per tentare di salvare i suoi colleghi. Un eroe minore, come tanti, di quella devastante tragedia. Smagin si è tolto la vita il 23 ottobre buttandosi da un grattacielo alla periferia Nord di Mosca.

     

    Dopo aver convissuto tutta la vita con la “malattia acuta da radiazioni” e aver subito sette interventi chirurgici, aveva scoperto un nuovo tumore. Aveva 75 anni e non voleva morire in un ospedale. Secondo i registri ufficiali, furono almeno 600mila i “liquidatori”, quelli che nel pomposo linguaggio burocratico sovietico venivano chiamati “partecipanti nella liquidazione delle conseguenze dell’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl”. [...]

     

    Chernobyl Chernobyl

    Per il suo eroismo aveva infine ricevuto un’onorificenza, ma in seguito, in un’intervista, aveva ammesso: «Quest’incidente, ovviamente, ha rovinato il destino di tutti. Io, ad esempio, dopo aver sofferto della malattia da radiazioni, ho portato tutta la vita uno stigma: il divieto di lavorare in aree soggette a radiazioni, il divieto di lavorare di notte, il divieto di trasferte e tante altre restrizioni. Chi aveva bisogno di lavoratori come me?». Aveva poi trovato un lavoro ministeriale. Fino alla pensione.

     

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    La sera del 22 ottobre aveva detto alla moglie di aver avvertito la presenza di un nuovo tumore. Insieme avevano concordato che si sarebbe sottoposto a degli esami per scoprire la diagnosi esatta. Ma in realtà Smagin non ne poteva più di diagnosi e cure. La mattina dopo quando la moglie, dopo essersi alzata e aver preparato la colazione per due, come sempre, è tornata in camera da letto per svegliarlo, ma non lo ha trovato. A un nuovo calvario medico, Smagin aveva preferito un volo di 15 metri dal balcone.

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    Su un tavolo aveva lasciato un biglietto di addio e una richiesta di perdono alla moglie e ai figli: «Miei cari, Larisa, Dima e Sveta! È tempo di dire addio. Grazie per questi anni vissuti insieme. Sono stati una gioia. Mi spiace». Smagin non è il solo liquidatore a essersi tolto la vita. Già nel 1997 uno studio sosteneva che i sopravvissuti al disastro di Chernobyl, eroi minori spesso dimenticati, costretti a convivere con le conseguenze dell’esplosione, rischiavano più il suicidio che il cancro.

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