DAGONEWS
zingaretti di maio
Il momento chiave di questo inizio 2020 nella politica italiana è stato l'incontro tra Zingaretti e Di Maio, in cui il segretario del Pd l'ha messa giù semplice: le mine sotto il sederino del governo sono troppe, e ognuna è in grado di destabilizzare la maggioranza, il fragile Conte-bis e, soprattutto, l'elettorato.
Zinga ha letto i sondaggi positivi di Bonaccini in vista delle elezioni regionali in Emilia-Romagna (26 gennaio) e si è detto: che sarà mai un mese in più di melina (come ha twittato Verdelli) davanti al grande gioco delle cose, ovvero la sopravvivenza di questo governo fino all'elezione del prossimo capo dello Stato?
Strappare oggi su temi caldissimi come la revoca delle concessioni autostradali, l'ex-Ilva, la prescrizione, la legge elettorale, il referendum sui parlamentari, l'Eurogruppo sul Mes il 20 gennaio, persino l'autorizzazione a procedere su Salvini, vorrebbe dire aumentare il rischio di una sconfitta alle regionali, e dunque la garanzia che, in seguito, sarà ancora più difficile prendere decisioni su argomenti spinosi.
CONTE E SALVINI
Di Maio si è buttato a corpo morto sulla proposta del suo alleato di governo: il M5S l'orlo della crisi di nervi lo ha già superato ed è in pieno psicodramma. A lui delle elezioni emiliane frega poco (lì i grillini hanno già messo in conto un bagno di sangue: sondaggi al 7%), gli interessa campare un altro mese senza bordate quotidiane legate al suo ruolo di capo politico dei 5 Stelle, visto anche che il suo secondo lavoro (quello di ministro degli Esteri) lo porterà in Nordafrica a mettere qualche bandierina nel pieno della crisi Iran-USA.
Il sogno di Zingaretti è vincere in Emilia, arrivare a febbraio al congresso del Pd con questa fiche in tasca e cambiare le regole del partito sdoppiando i ruoli di segretario e candidato premier. E puntare al primo degli argomenti che stanno a cuore alla politica (mentre nel Paese partono le pernacchie), cioè la legge elettorale, con quello sbarramento al 5% che andrebbe bene pure a Renzi, convinto com'è di poterci arrivare – anche col sostegno del gruppetto di Letta (Gianni) e Carfagna.
sergio mattarella giuseppe conte 1
Tale è la paura di toccare il fragilissimo castello di carte che vede al vertice l'avvocato Conte, che i due vorrebbero anche spostare il voto sull'autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, in programma il 20 gennaio, che il leader leghista potrebbe usare nell'ultima settimana di campagna elettorale per dipingersi come il martire del Conte-2, ovvero la versione pilatesca del Conte-1 che lo salvò dal caso Diciotti per salvare la pelle al governo.
I leader della maggioranza starebbero mandando segnali di fumo anche alla Corte Costituzionale, implorando i giudici di ritardare la decisione sul referendum leghista per mozzare il Rosatellum (aridaje col 20 gennaio): il via libera alla consultazione metterebbe con le spalle al muro il governo, che dovrebbe correre ad approvare la nuova legge elettorale prima che la vecchia sia messa alla prova delle urne.
Certo, vai a capire se può raggiungere il quorum un quesito così moscio, ma se la vecchia legge dovesse cadere prima di avere quella nuova, sarebbe l'ennesimo scoglio verso l'agognato 2022, anno del rinnovo del Quirinale. Senza il Rosatellum, Salvini sarebbe molto avvantaggiato (stessa legge per Camera e Senato) e potrebbe davvero spingere per una crisi il prima possibile.
CARFAGNA RENZI
Peraltro, a chiunque chieda dalle parti di Mattarella cosa succederebbe in caso di crisi, la risposta è sempre quella, e lo è da mesi: se cade il Conte-bis si va al voto. Ma in mezzo alla crisi internazionale tra Libia, Iran e paralisi economica, dal Colle vedrebbero come un suicidio avere anche una crisi interna.
Insomma, tutti cercano di tenere tutto fermo, paralizzato, cristallizzato, aspettando il voto di fine mese. Conte fa Conte e un giorno è grillino e quello dopo piddino, con unici punti fermi i due fidati Chieppa e Casalino.