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Monica Coviello per “Vanity Fair”
Trevor, nato in un corpo femminile, ha cominciato la transizione per diventare uomo otto anni fa. È The Guardian a raccontare la sua storia. Qualche anno dopo, con il suo compagno, ha iniziato a pensare a un figlio: l’adozione, per una coppia formata da un trans e da un gay, era un percorso molto difficile.
Ma Trevor, nonostante le terapie ormonali, non aveva mai sentito l’esigenza di farsi asportare l’utero, e insieme al compagno era perfettamente in grado di cominciare una gravidanza.
I due hanno cercato di pianificare il momento del concepimento, in modo che fosse inverno quando il pancione diventava più evidente. Così, quando Trevor ha scoperto di aspettare un bambino, ha cercato di nascondere le sue forme con cappotti e maglie ampie: qualcuno non si è accorto della gravidanza fino a quando non è nato il loro piccolo.
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«Alcuni, invece, hanno iniziato a chiamarmi “mamma”. “Se partorisci un figlio, sei una madre”, mi ha detto un collega. Ma io non l’ho trovato giusto». Perché nemmeno per un istante Trevor ha pensato di avere sbagliato o di avere qualche rimorso: di quel bambino si sentiva il papà, non la mamma.
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Nonostante la chirurgia estetica per la riduzione del seno, è riuscito anche ad allattare, il primo e poi il secondo figlio, che oggi hanno 5 e 18 mesi. Ha mescolato il suo latte con quello che gli è stato offerto da una comunità, e si è appassionato a quello che stava facendo: scrive un blog, Milk Junkies, e ha pubblicato un libro, «Where’s the mother. Stories of a transgender dad».
Ha anche messo la sua esperienza al servizio della scienza, partecipando a una ricerca del Canadian Institutes of Health Research, su gravidanza e allattamento di 22 uomini transgender.
«C'è questa idea per cui la gente pensa che un ragazzo trans dovrebbe desiderare solo un intervento di isterectomia e voler usare il corpo per portare avanti una gravidanza». Ma il discorso, secondo Trevor, è ben più complesso. «A un bambino importa dell’amore, non di quali pronomi usate».
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