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    È MANTOVA IL NUOVO CUORE DEL COVID - L'INCUBO DEL MAXI-CONTAGIO NEI SALUMIFICI E NEI MACELLI DELLA BASSA PADANA: UNA SETTANTINA DI CASI ACCERTATI - PROBABILMENTE, PROPRIO COME ACCADUTO IN GERMANIA, I RESPONSABILI DI QUESTA DIFFUSIONE SAREBBERO I LAVORATORI STRANIERI CHE AVREBBERO PORTATO DA FUORI IL CONTAGIO - IL TIMORE CHE QUESTO MINI FOCOLAIO SIA SOLO LA PUNTA DELL'ICEBERG


     
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    Pierangelo Sapegno per “la Stampa”

     

    SALUMIFICIO SALUMIFICIO

    Adesso è Mantova il cuore del Covid, pochi chilometri racchiusi in una piana che puzza di soldi e di maiali, con un macello dietro l'altro e i campanili che spuntano all'orizzonte. Qui dove la vita affonda nel sole asfissiante della Padania e nella sua frenesia di ricchezza, il virus ha rimesso implacabile le proprie radici.

     

    In dieci giorni, mille tamponi e 68 contagi fra i lavoratori di due salumifici e tre macelli, dipendenti diretti o reclutati da cooperative, molti dei quali extracomunitari, riproducendo pari pari l'incubo che aveva spaventato la Germania appena finito il lockdown, quando oltre 1200 infettati erano apparsi all'improvviso fra gli uomini che faticano con i maiali - qualche volta torturandoli - quasi tutti emigrati dall'Est Europeo rientrati dopo la quarantena, senza averne osservato le rigide imposizioni.

     

    MACELLERIA MACELLERIA

    E' ancora presto per affermare che si è ripetuto pure da noi lo stesso perverso meccanismo. Ma il sospetto c'è. Per adesso le autorità sanitarie si sono limitate a far sapere che in tutti i 5 luoghi colpiti dal Covid, «i protocolli sarebbero stati regolarmente rispettati». Certo è che c'è qualcosa di inspiegabile e preoccupante in questa esplosione.

     

    E' cominciato tutto al salumificio Gardani di Viadana, nella riva sinistra del Po, solo afa, pianura e le gaggie sugli orli del fiume: 11 contagiati. Subito dopo, secondo focolaio al Macello Ghinzelli, ancora Viadana: 41 su 450 dipendenti. Poi Macello Martelli, a Dosolo: altri 5. Salumificio Rosa, di nuovo Viadana: 6. L'altro ieri, Macello dei fratelli Montagnini: 5. Le prime quattro strutture continuano a funzionare regolarmente. Solo l'ultima ha temporaneamente interrotto l'attività.

     

    maiale 3 maiale 3

    Tre di questi posti sono nella zona industriale di Gerbolina, quasi attaccati fra di loro, uno dietro l'altro, come capannoni dalla produzione intensiva, a raffigurare il mito di una società che non si ferma mai. Anche il coronavirus non si ferma mai. E ora, il timore è che questa sia solo la punta dell'iceberg. Non a caso, le autorità hanno appena disposto di estendere lo screening a tutti i macelli della zona. Sono stati ordinati altri mille tamponi che verranno effettuati a partire da oggi.

     

    Se le prime verifiche delle autorità sanitarie hanno accertato che queste cinque strutture sono tutte a norma di legge, e che quindi molto probabilmente, proprio come in Germania, i responsabili di questa diffusione del Covid sarebbero i lavoratori stranieri che avrebbero portato da fuori il contagio, non possiamo illuderci che il mondo dei maiali sia quello di Orwell e del suo Napoleon. Molte volte le fattorie degli animali sono luoghi di tortura, qui come altrove, posti dove risuonano le loro urla straziate, con i box sporchi e sovraffollati e i maialini sofferenti che vengono strappati dalle madri allontanate a calci per spingerle nei recinti. Nei macelli gli animali vanno per morire.

    maiale 4 maiale 4

     

    E un mondo che rischia di morire appena si ferma può mai avere pietà di loro? Se uno è mai entrato in una di quelle gabbie dove vengono ammassati i maiali, gli sarà rimasto in mente il fango dei corridoi, percorso da uomini con gli stivali alle ginocchia, e il ricordo di certi lamenti che coprono i grugniti, come grida di dolore urlate al vuoto. Non chiedetevi se piangono il loro destino.

     

    E' la legge di una società massificata che deve dare d mangiare a tutti. La Lega Antivivisezione, la Lav, ha però lasciato delle immagini agghiaccianti che restituiscono ai nostri occhi tutta la crudeltà dei luoghi costruiti per la morte, dove i lavoratori castrano i maialini di un mese senza anestesia e senza somministrare nemmeno alcun analgesico per attutire il dolore, e poi li marchiano afferrandoli per le orecchie con le dita che gli schiacciano gli occhi fino a farli sanguinare.

     

    Dove gli orifizi anali vengono chiusi con una spilla da balia, e gli animali gettati nei recinti ancora sanguinanti, e tatuati anche se hanno grossi prolassi. Code e testicoli mutilati sono dati in pasto alle scrofe. Gli ascessi vengono incisi, il pus sporca le gabbie. I piccoli suini sono gettati nei box come vecchie scarpe, buttati via brutalmente. Le celle frigorifere sono piene di animali che non sopravvivono al dolore. Può darsi che siano semplicemente le regole del gioco. Il team investigativo della Lav aveva chiesto alla regione Lombardia l'immediata chiusura di quelle strutture. Ma è così che muoiono i maiali anche al tempo del Covid.

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