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    L’INFLAZIONE? UNA DANNAZIONE – L’INDICE NAZIONALE DEI PREZZI AL CONSUMO TORNA A SALIRE A MARZO: SECONDO L’ISTAT È CRESCIUTO DELL’1,3% SU BASE ANNUA (E DELLO 0,1 SU BASE MENSILE – È UNA BRUTTISSIMA NOTIZIA, PERCHÉ LA BCE POTREBBE RINVIARE ANCORA IL TAGLIO DEI TASSI. MA SE IL COSTO DEL DENARO NON SCENDE, POTREBBE ESSERE UN’ECATOMBE: UN’AZIENDA ITALIANA SU QUATTRO RISCHIA DI ANDARE IN SOFFERENZA…


     
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    1 - ISTAT, A MARZO INFLAZIONE TORNA A SALIRE +1,3% SULL'ANNO

    (ANSA) - Dopo la pausa di febbraio, l'inflazione torna a salire a marzo. Secondo le stime preliminari, dell'Istat l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,1% su base mensile e dell'1,3% su base annua (da +0,8% del mese precedente). Mentre l'"inflazione di fondo", al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +2,3% a +2,4%, e quella al netto dei soli beni energetici decelera da +2,6% a +2,5%. "La lieve accelerazione risente dell'attenuarsi della flessione su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici". Commenta l'Istat.

     

    2 - SE NON CALANO I TASSI A RISCHIO UN’AZIENDA SU QUATTRO

    Estratto dell’articolo di Carlo Marroni per “il Sole 24 Ore”

     

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    I segnali sono nitidi, ormai da qualche tempo: l’inflazione scende più rapidamente del previsto, una riduzione dei tassi è ormai alle porte. Tuttavia, se questa strada non dovesse essere imboccata da parte del consiglio della Bce le conseguenze per l’economia reale sarebbero decisamente molto pesanti.

     

    L’Istat, nel XII rapporto sulla competitività dei settori produttivi, è chiara: in caso di mantenimento del costo del denaro ai livelli del 2022-23 (solo lo scorso anno sono state sei le decisioni al rialzo da parte di Francoforte) almeno un quarto delle 800mila imprese italiane – soprattutto nel terziario – andrebbe in sofferenza. In particolare si potrebbe assistere ad un passaggio nella zona definita “a rischio”, o addirittura “fortemente a rischio”, invertendo di fatto un processo che aveva visto le società di capitali irrobustirsi decisamente nel periodo 2011-2022.

     

    inflazione inflazione

    La maggior parte di queste aziende a rischio (il 19,7 per cento) nel 2022 presentava una struttura patrimoniale non sostenibile. Infatti i tassi alti hanno già messo a dura prova le imprese: l’inasprimento della politica monetaria ha provocato, dal 2022 e per tutto il 2023, un diffuso peggioramento delle condizioni di finanziamento per le imprese manifatturiere (a fine 2023 la quota di chi lo segnalava era cinque volte più elevata rispetto al periodo 2015-2019), in particolare a causa dell’aumento dei tassi d’interesse, che ha aumentato anche i casi di “domanda scoraggiata”: a fine 2023 quest’ultima spiegava oltre la metà dei casi di mancato ottenimento del credito.

     

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    La dodicesima edizione del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi – presentata al Politecnico di Torino dal presidente Istat, Francesco Maria Chelli, e dalla direttrice del Dipartimento per la Produzione Statistica, Monica Pratesi - analizza gli effetti degli shock che dal 2020 hanno colpito in sequenza l’economia italiana, e lo scenario complessivo: nel 2023 il quadro economico internazionale ha continuato a essere caratterizzato da una forte incertezza, alimentata da tensioni geopolitiche e dagli effetti restrittivi della politica monetaria; ne è conseguito un rallentamento della crescita globale, meno accentuato negli Stati Uniti e in Cina, più evidente in Europa.

     

    In questo contesto spicca l’andamento dell’economia tedesca: la recessione in Germania, il nostro principale partner commerciale, ha costituito un ulteriore fattore di rallentamento per la crescita italiana.

     

    Un tema centrale è il rapporto dell’economia dell’Italia con il suo principale partner commerciale, le Germania. Secondo il modello macroeconomico dell’Istat, nel 2023 la decelerazione del commercio mondiale avrebbe ridotto di 3,7 punti percentuali la crescita delle esportazioni di beni italiani in volume, di 1,5 punti quella delle importazioni e di 0,8 punti quella del Pil. Gli effetti imputabili alla sola recessione tedesca sarebbero pari a 1 punto di export, 0,3 punti di import e 0,2 punti di Pil.  […]

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