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    RUDI ALLA META – L’INFANZIA CON I SERVIZI SOCIALI, L’INFORTUNIO, L’ALCOL, LA DEPRESSIONE: I SEGRETI DEL RUGBISTA PASCAL PAPE’ TURBANO LA FRANCIA - "STAVO PER UCCIDERE. MIA MOGLIE CHIESE IL DIVORZIO E IO A NOTTE FONDA ENTRAI NELLA SUA CAMERA: “IL SUO VISO DOLCE, LE MIE MANI ENORMI: STAVO PER FARLE DEL MALE, MA PER FORTUNA SI È SVEGLIATA...” – L’AMICIZIA CON IL CAPITANO AZZURRO PARISSE


     
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    Massimo Calandri per la Repubblica

     

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    Dice che quel pomeriggio all' Olimpico voleva «fare pulizia». Pulizia. È un termine che si usa, nel rugby: c' è un raggruppamento, i giocatori s' azzuffano intorno a un pallone ovale e allora uno di quelli più grossi - uno come lui, Pascal Papé: quasi 2 metri per 130 chili, il capitano della Francia - arriva a tutta velocità e spazza via gli avversari. «Ma per la troppa foga sono caduto con la schiena sul ginocchio di uno degli azzurri».

     

     

    Era 4 anni fa. Qualche secondo dopo, Castrogiovanni avrebbe segnato una meta, regalando uno storico successo all' Italia. Papé invece uscì per infortunio ma non se ne accorse nessuno, in quella bolgia. Una infiammazione al nervo sciatico che lo avrebbe tenuto fuori per 4 mesi. «Un' eternità. Un incubo. Perché avevo un sacco di tempo libero. E ho cominciato a ripensare alla mia vita ». Una vita doppia, impossibile, tragica: quella di un ragazzo cresciuto con un segreto inconfessabile. E allora i pensieri neri, la depressione: l' alcol, le medicine.

     

    Poi la sera in cui la moglie - esasperata, sfinita - chiede il divorzio e Pascal a notte fonda entra in camera di lei: «Il suo viso dolce, le mie mani enormi: stavo per farle del male, ma per fortuna si è svegliata». Sempre più fragile, il gigante s' imbottisce di medicine e rischia di morire. Il ricovero in un ospedale psichiatrico, a 32 anni: ma nessuno deve sapere nulla. «Volevo solo dormire. Nascondermi. Invece ho cominciato scrivere, a raccontare. A svelare il mio segreto. È così, che mi sono salvato».

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    In Francia è diventato un best seller da 30mila copie vendute il suo libro drammatico, una commovente confessione: "Double jeu", doppio gioco. Nella prima riga c' è tutto: «Io non mi sono sempre chiamato Pascal Papé». Il gigante si racconta: «La mia madre biologica era una povera disgraziata, con gravi problemi mentali. Di origine italiana: la nonna era venuta da Torino a cercare lavoro a Lione».

     

    Non ha mai saputo chi fosse il padre, ma vicino al quartiere dov' era nato s' era fermato a lungo un circo proveniente dall' Europa dell' Est. Il piccolo Pascal fu affidato ai servizi sociali all' età di 7 mesi e mezzo, «perché la mamma aveva avuto un altro bimbo che il suo amante aveva gettato dalla finestra e quella storia l' aveva resa pazza». Affidato ad una famiglia, aveva mantenuto i rapporti con lei. «Ogni volta che andavo a trovarla, ero terrorizzato dall' idea di dover restare». Un' infanzia e un' adolescenza di lacrime, tra l' affetto dei genitori affidatari e la paura - il rimorso, l' incertezza - della mamma "vera".

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    «Ho cominciato a giocare a rugby, tiravo pugni a tutti: "Figlio di puttana", mi dicevano i bambini. E io pensavo alla madre affidataria, che adoravo». È diventato Pascal Papé solo dopo aver compiuto 18 anni ed aver scelto la "sua" famiglia. Nel 2005 è morta la madre biologica. Alcuni nel mondo ovale sapevano, hanno tenuto la bocca chiusa.

     

     

    L' incidente all' Olimpico ha fatto uscire fuori tutto. «Raccontare la verità è stata la mia terapia. Ha funzionato. Ora la gente mi rispetta, mi abbraccia. Mia moglie mi ama». Ha dedicato il libro alla famiglia, e «alle persone che aprono i cuori e la casa a quelli che si sentono abbandonati».

     

    Nel frattempo è tornato a giocare nel massimo campionato francese con lo Stade Français capitanato da Sergio Parisse. «Mi ritiro a giugno, a 36 anni. Mi occuperò dei ragazzi». Sabato guarderà il match Italia-Francia. «Partita delicata. Entrambe le squadre voglio fare bene, le perplessità sulla partecipazione al Sei Nazioni degli azzurri non hanno senso: io li avrò incontrati una decina di volte, sono competitivi e parte integrante del torneo.

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    La classica squadra che può inguaiare (emmerder, dice lui) chiunque». E poi, c' è Parisse. «Un amico. Uno dei giocatori più professionali che abbia mai incontrato. Fa tanto sul campo e come ambasciatore dell' Italia nel mondo del rugby ». Guarderà la partita in tv. «Sarà una bella emozione. Come tornare indietro nel tempo. A quel giorno di 4 anni fa, che volevo fare pulizia. E in un certo senso, è andata proprio così».

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