Riccardo Torrescura per la Verità
malagò
Le hanno provate tutte, per sostenere lo ius soli, ma il ricattino sportivo ancora mancava. Fortuna che è arrivato il presidente del Coni, Giovanni Malagò, a spiegarci perché la nuova legge sulla cittadinanza è indispensabile. Anzi, a sentir lui abbiamo fatto un clamoroso errore a non approvarla prima, motivo per cui adesso ne paghiamo le conseguenze.
Ieri, illustrando i risultati di un «progetto» chiamato «Sport e integrazione» (sai che originalità), Malagò si avventurato nella giungla della propaganda politica.
«C' è qualcuno che cavalca certe cose per proprio tornaconto», ha detto, come se lui non stesse cavalcando alcunché. «Dello ius soli il mondo dello sport è da subito stato il portabandiera e non vuole essere strumentalizzato né tirato per la giacchetta. In Italia abbiamo una crescita demografica che è pari a zero e guardando alle statistiche negli ultimi 15 anni abbiamo perso quattro milioni e mezzo di potenziali atleti tra i 14 e i 19 anni».
Ma certo. Visto che non facciamo più figli e di conseguenza non produciamo più atleti, allora bisogna importarli dall' estero. Cosa che, per altro, già avviene, soprattutto nel mondo del calcio. Da qualche anno, infatti, proliferano le inchieste riguardanti la tratta dei baby calciatori, ragazzini che vengono reclutati in Africa, imbottiti di promesse e in molti casi lasciati al loro destino una volta giunti nel nostro Paese. L' ultimo caso risale allo scorso luglio, ed è stato smascherato in Toscana. Ma vicende analoghe sono state scoperte in mezza Europa, tanto che persino la Fifa ha dovuto scomodarsi per porre un freno al fenomeno.
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Casi giudiziari a parte, il ragionamento di Malagò resta comunque surreale. Che diamine significa «abbiamo perso 4,5 milioni di potenziali atleti»? Se è questo il problema, invadiamo la Nigeria e facciamone una colonia, così gli sportivi a disposizione saranno molti di più... Ma il presidente del Coni - che evidentemente ci tiene a mostrare le sue simpatie politiche in questo momento complicato - è molto convinto delle proprie argomentazioni.
«Oggi molte persone che risiedono in Italia», ha spiegato, «non sono riconosciute come italiane, e per questo non possono indossare la maglia azzurra. Ma lo sport non è di destra né di sinistra, non può avere svantaggi: a tutti deve essere permesso di praticare la propria disciplina e bisogna lavorare per questo». Ah, adesso abbiamo capito perché l' Italia non andrà ai Mondiali: perché non abbiamo approvato lo ius soli, dunque la nostra nazionale di calcio è rimasta priva degli esplosivi talenti provenienti dall' estero. Se invece avessimo approvato mesi fa la legge sulla cittadinanza, a quest' ora saremmo già proiettati nell' Olimpo del pallone.
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Anche perché, a sentire Malagò, i giovani italiani sono proprio dei brocchi, in confronti agli immigrati. «È inaccettabile che i nostri figli siano a scuola con altri ragazzi», ha aggiunto ieri, «vanno a fare sport e magari questi ragazzi sono anche più bravi di alcuni dei nostri ma non possono competere ai vari livelli dei campionati o addirittura in alcuni casi indossare la maglia azzurra: questo non è giusto».
Che cattivoni che siamo.
Insistiamo a far giocare le schiappe con la cittadinanza e lasciamo i fenomeni stranieri a languire sui campetti di periferia, motivo per cui, poi, rimediamo pesanti figuracce in sede internazionale.
Ora, non è la prima volta che il presidente del Coni si lascia andare a esternazioni di questo genere, ma stavolta ha utilizzato toni particolarmente decisi. È evidente il tentativo di marcare la distanza che altri personaggi, in particolare con Carlo Tavecchio - presidente dimissionario della Figc - che nel 2014 pronunciò il famigerato discorso sugli «Optì Pobà». «Le questioni di accoglienza sono un conto, le questioni del gioco sono un altro», disse Tavecchio.
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«L' Inghilterra individua i soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare. Noi, invece, diciamo che Optì Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio. E va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree». Il gioco è piuttosto chiaro: Malagò ha detto l' esatto contrario, per altro mostrando una maggiore padronanza della lingua italiana.
Non ci venga a dire che «non è un discorso politico», perché lo è eccome. Il nostro punta a governare la Figc, per questo tenta disperatamente di lisciare il pelo alla sinistra di malgoverno. Faccia pure quello che gli pare, giochi liberamente le sue carte ai tavolini che contano. Ma lasci stare i commenti sull' immigrazione. La legge sulla cittadinanza non c' era nemmeno nel 2006, eppure i mondiali li abbiamo vinti, battendo proprio la Francia «multietnica».
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Ma erano altri tempi, e al governo c' era Romano Prodi, quello che «i negri» non li voleva vedere nemmeno in foto.