ANDREA PALLADINO per repubblica.it
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Un calo netto del 50% degli spostamenti da una provincia ad un’altra e una riduzione altrettanto evidente degli incontri tra le persone. E’ il primo indicatore, basato su dati reali, del cambiamento della mobilità e della socialità degli italiani dopo i provvedimenti che hanno trasformato l’intero paese in una 'zona protetta' per il coronavirus, emerso della ricerca "Covid-19 Mobility Monitoring project" realizzata dalla fondazione specializzata in Data science Isi, dalla società statunitense Cuebiq e dall’università di Torino. Per tracciare i movimenti degli italiani i sei ricercatori coinvolti nel progetto hanno utilizzato la localizzazione di 170 mila smartphone, riuscendo a mappare provincia per provincia cosa è accaduto subito dopo il caso del paziente uno di Codogno.
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I dati utilizzati per la ricerca sono stati forniti dalla Cuebiq, gruppo che si occupa di analisi della mobilità attraverso la localizzazione dei cellulari. I modelli più recenti utilizzano diverse tecnologie per tracciare la posizione dell’utilizzatore, attraverso il gps, il wifi, i beacons, le reti alle quali ci si collega. Queste informazioni - rese anonime, spiegano i ricercatori - permettono di tracciare con precisione gli spostamenti "degli utenti che hanno espresso il loro consenso a condividere i loro dati di posizione, tramite un’apposita funzione inserita in tutte le app dei partner", dichiara la Cuebiq.
L’istituto di ricerca di Torino ha selezionato 170 mila utilizzatori di smartphone distribuiti in quasi tutte le province italiane in maniera proporzionale al numero di abitanti. I dati relativi agli spostamenti - circa 175 milioni di posizioni complessivamente - sono stati analizzati nel periodo dal 22 febbraio, subito dopo la scoperta del primo caso a Codogno, al 10 marzo. La ricerca ha monitorato in tempo reale i movimenti tra le province, la media delle distanze percorse dalle persone e la vicinanza tra gli utenti. Dato, quest’ultimo, che potrebbe descrivere l’effettivo ricorso allo smart working dall’inizio dell’emergenza coronavirus.
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Le variazioni dei comportamenti dopo la creazione della prima zona rossa nei comuni del Lodigiano e di Vo’ sono state localizzate e non particolarmente evidenti a livello nazionale, con una riduzione della mobilità da una provincia ad un’altra tra il 10 e il 30 per cento in Italia. Dopo la firma del decreto del 9 marzo che ha esteso all’intero Paese le restrizioni, il numero delle persone che non hanno lasciato la propria provincia è aumentato del 50% a livello nazionale - con punte del 100% a Lodi, Piacenza, Fermo e Vercelli - rispetto al periodo precedente l’epidemia. Anche gli incontri tra le persone sono diminuiti del 19% a livello nazionale dopo l’estensione della 'zona protetta' all’Italia. Il maggior calo di spostamenti è stato rilevato nella terza settimana dell’emergenza nei collegamenti dal Nord e dal Centro Italia, con una diminuzione compresa tra il 50-70%. Dati alti, ma non un blocco totale.
Il monitoraggio del lockdown
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Lo studio è al momento in fase iniziale e il modello verrà sviluppato ulteriormente nei prossimi giorni, con il proseguimento del monitoraggio. Il campione, pur essendo esteso, non è stato selezionato con criteri tipici della statistica, ma solo geografici: "Abbiamo potuto studiare la distribuzione per provincia - spiega Michele Tizzoni, ricercatore dell’Isi - con più utenti nelle province più popolose, con una maggiore rappresentatività al Nord e una minore al Centro-sud". L’analisi dei dati di localizzazione della telefonia mobile è già stata utilizzata in ambito accademico per ricerche mirate sulla mobilità delle persone: "Il tipo di lavoro che stiamo facendo ora, ovvero monitorare come sta funzionando il lockdown - aggiunge Tizzoni - e come le persone reagiscono alle restrizioni imposte per motivi di salute pubblica è unico in Italia e al mondo, in questo momento".
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