Simonetta Fiori per La Repubblica
Parise e Giosetta Fioroni in una foto di Mario Schifano Dal PIacere alla Dolce Vita Mondadori
Il romanzo della loro storia d’amore Parise l’aveva sigillato con la ceralacca. Nessuno doveva leggere quelle pagine sconvolgenti, ossessionate dall’eros e dalla gelosia. Però prima di morire lo scrittore decise di rimetterci le mani. «Era “L’odore del sangue”», racconta ora Giosetta Fioroni nello studio di Trastevere, tra le tele e i teatrini della sua felice vita artistica.
«Per sei anni non volli neppure aprirlo, poi mi decisi a leggerlo. Un tormento ». Sono quasi trent’anni che Goffredo non c’è più. Giosetta ne parla come se l’avesse perso ieri. Le stesse emozioni, gli stessi tormenti. Come se continuasse a rimproverarsi di qualcosa, mai sazia di una devozione infinita.
Goffredo Parisi
Lui la vide la prima volta nel 1963, al caffè Rosati. Avrebbe ricordato perfino l’abito: a losanghe, bianco e nero.
«Sì, mi scrutava dal tavolino vicino, seduto sul bordo della sedia. Un po’ sornione, un po’ sfottente. Io andavo là con i miei amici della Tartaruga, la galleria sopra il Bolognese: De Martiis, Schifano, Festa. Naturalmente anche loro si accorgevano delle sue attenzioni per me, ma a Goffredo non importava nulla».
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Non si lasciò scoraggiare.
«Non era condizionato da nulla se non dal suo estro. Una personalità davvero originale, per ironia, imprevedibilità e impertinenza. Anche molto diretto e rapido, come se non avesse tempo da perdere. Probabilmente presago di una vita così breve: morì a 56 anni».
Diretto anche nell’approccio.
«A cena, a casa di amici. Era stato lui il regista dell’incontro. Me lo disse subito, nel corso della serata: “Sono stato io a chiedere di conoscerla. So tutto di lei: come cammina, come muove le mani tra i capelli, come lavora sulla tela”. Io lo ascoltavo allibita».
Era rimasto colpito dalla sua andatura saltellante.
«Vedeva il mio lato infantile, che ho conservato a lungo negli anni. Mi muovevo in quel modo arruffato che è tipico dei giovani, di chi fa tante cose insieme».
GIOSETTA FIORONI MADAME SOSOSTRIS
Fu subito un grande amore.
«Fu l’incontro tra due artisti. Lui lo era nel senso più profondo, dotato di grazia espressiva anche nella vita. Con lui non mi sono mai annoiata. Quando abitavamo in via delle Zoccolette, alla sera mi spingeva verso Ponte Garibaldi, dove si incontravano gli omosessuali. “Dai che andiamo a vedere il Penna battere”. Sandro stava lì, elegantissimo con la sua biciclettina. “Ma signora Giosetta, che ci fate qui? Andate via”. La curiosità di Goffredo era incontenibile. E senza alcuna briglia di perbenismo ».
Giosetta Fioroni
Fuggiva dalla noia.
«Tutto quello che non lo emozionava lo annoiava. Nelle persone meno frementi esiste uno stadio tra l’emozione e la noia. Invece Goffredo aveva bisogno di qualcosa che almeno esteticamente lo emozionasse: il lino di una tovaglia, le facce delle persone, una pagina di Tolstoj».
Anche molto inquieto.
«Soffriva di incubi notturni, fucilazione e di altri eventi drammatici, da cui si svegliava urlando. Una sorta di premonizione».
Da dove arrivava il senso di morte?
«La mamma era una donna gretta, concentrata sul denaro. “Ma ti lo sa se Goffredo ga fato testamento?”, mi domandava. “Ma che mi importa. Se muore Goffredo è la fine del mondo”. “ Ma cossa ti disi, gli sghei sono sghei…”».
Con il padre non era stato più fortunato.
«Il padre naturale non l’aveva riconosciuto, creandogli un sacco di problemi: nelle foto di classe veniva escluso per la sua condizione di figlio illegittimo. Credo che nel rapporto tra la mamma e Goffredo intervenisse anche una sorta di ritorsione emotiva verso quel figlio della colpa».
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Lui avrebbe poi cercato in lei, Giosetta, il ruolo materno. «Era la sola donna che avessi amato nella mia vita», scrive in “L’odore del sangue”. «La sola che aveva sostituito mia madre».
«Un sentimento ambivalente. Dopo sette anni insieme mi lasciò per una giovane vedova di Ponte di Piave, il paese dove passava parte dell’anno. “Mi sono innamorato”, mi confessò un giorno con brusca sincerità. “Allora te ne devi andare”. La sera, a casa, vidi gli armadi vuoti. Caddi in uno stato di dolore permanente ».
Parise giudica il vostro rapporto “fantastico”, ma privo di quella «gioia cruenta e feroce » che anima la sessualità. Una simbiosi di anime, non di corpi.
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«Mi accusò di aver trasformato il mio sentimento amoroso in un amore materno. Ma nessuno entra in ruolo se l’altro non lo desidera. Goffredo tornava dai suoi viaggi nel Sudest asiatico molto provato, anche malato. Così dormiva intrecciato a me, in un sudore di febbre e spossatezza. Io lo assecondavo immobile, come farebbe una madre».
Lui rende plasticamente il vostro stare insieme come l’abbraccio anche mostruoso che si celebra in Cambogia tra la vegetazione della giungla e le sculture in pietra dei Khmer. Sembra quasi temere questo viluppo.
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«Sì, un’emozione ambigua. Noi condividevamo la felicità dell’esistenza con una complicità totale, ma questo ha finito per ridimensionare l’eros, che si nutre di mistero e conflitto ».
La passione però sarebbe ricominciata.
«Una sera andai a Bologna da una vecchia zia e mi misi a passeggiare sotto i portici con le calze nere e i tacchi alti. “Ma che fai, ti metti a battere?”, mi dicevo. Non sapevo più nulla della realtà. Non c’era più Goffredo, non c’era più niente. Finii a letto con un garbato studente di medicina molto più giovane. L’esito fu molto malinconico. Ma l’incontro mi consentì di dire a Goffredo che avevo un amante. Lui continuava a telefonarmi una volta al mese ».
E Parise?
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«Due ore dopo era sotto casa della zia».
«L’ho guardata la prima volta quando ebbi la sensazione che mi tradisse»: è una sua ammissione dolente.
«Riprendemmo a vederci in gran segreto, nessuno doveva sapere. Un andirivieni continuo, tra me e la ragazza di Ponte di Piave. Finché davvero io mi innamorai di un altro uomo ».
Avvertì “l’odore del sangue”, che è poi quello della vita, della sensualità, del sesso.
«Sì, non lo posso negare, l’attrazione per quel ragazzo fu molto forte. Ma Goffredo ne fece una tragedia».
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Fu Garboli a sorprendersi per questa sua fantasia erotica spiritata, che contrastava con un atteggiamento solitamente spiritoso. Ricordava gli iperbolici falli di cartone che Parise costruiva per dileggio e disseminava per casa quando invitava Gadda a colazione. Come spiega questa conversione?
«Goffredo era sempre stato un uomo di natura gelosa, ma aveva trovato una donna come me, destinata a spegnere quel sentimento. Quando m’innamorai del ragazzo, sprofondò in una passione che gli era naturale».
Come se la sua razionalità cedesse alla pulsione oscura del sesso.
«Il sesso rimane un luogo del mistero, soprattutto per chi ha una natura complessa come quella di Goffredo. Questa mia vicenda finì per scatenare cupi fantasmi che lo tormentarono nel profondo. Ma tradirlo non fu una colpa: prima di incontrare quel ragazzo avevo vissuto due anni di inferno».
Poi però la storia si sarebbe definitivamente rinsaldata.
«Sì, ma presto arrivò un brutto infarto. L’ultimo periodo è stato il più doloroso, trascorso in gran parte in ospedale».
La voce armoniosa di Giosetta viene interrotta da un pianto improvviso, profondo. Poi riprende la sua tonalità quieta.
«Ancora mi dispiace avergli dato quel dispiacere. La vita ha i suoi ritmi oscuri, imprevedibili ».
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Oggi cosa le manca di più?
«Posso darle una lettera che gli ho scritto tempo fa?». Si alza e si avvia verso il tavolo con il suo passo ancora “saltellante”. «Ecco, la legga quando vuole».
Caro Goffredo, oggi è il 31 agosto del 2006 e io non ti vedo da vent’anni. Ma devo dirti che l’immagine della tua persona, eccentrica e solitaria, è al centro del mio cuore e della mia memoria. Averti incontrato rimane l’evento centrale e felice della mia vita. Da allora, da quando sei sparito, ho il sentimento di una cesura, di un’amputazione. Il vuoto- di-te è costante e mi perseguita.
Giosetta