john giorno
Edoardo Sassi per il Corriere della Sera – Roma
Il suo primo arrivo a Roma, come ha ricordato lui stesso, sessant' anni fa, 1959, «mentre in città si girava La Dolce Vita ».
Poi, vent' anni dopo, la sua partecipazione al Festival di poesia di Castelporziano, quella tre-giorni di versi (e molto altro) sulle dune di Capocotta entrata nella leggenda. E ieri, per l' americano John Giorno, classe 1936 - carriera e aura da monstre sacré - l' ennesimo ritorno in Italia, paese dove affondano le sue origini (Basilicata).
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Carico di allori poetico-artistici, uno degli ultimi (e autentici) esponenti della Beat Generation, protagonista nel 1963 del primo film-cult di Andy Warhol Sleep , John è stato ospite della Galleria nazionale d' arte moderna, dov' è è il protagonista di una mostra collettiva, a cura di Teresa Macrì, che nel titolo cita la più famosa raccolta di suoi versi: You got to burn to shine (Per risplendere devi bruciare).
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John - presenza scenica e attitudine da perfomer ancora intatte - ha prima scandito versi indirizzati al pubblico dell' inaugurazione, poi ha accompagnato i visitatori tra le sue sperimentazioni orali-visive, a partire da quella forse più nota, Dial-a-poem (1968-2012), installazione con un vecchio telefono (era predigitale) che distribuisce versi ogni fa volta che si solleva la cornetta e il dito fa girare la ruota dei numeri. Con combinazioni via via variabili, il distributore di poesia è arrivato contenere la registrazione di 200 componimenti letti da 80 fra poeti, performer, rockers e scrittori, con un pantheon di sperimentalismo beat che va da Burroughs a Patti Smith a John Giorno stesso.
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Altro intervento dell' artista newyorchese, God is man made , serie di serigrafie e smalto su lino, di identiche dimensioni, in cui Giorno isola pillole dai suoi scritti, trasformando i suoi pensieri (anche quelli più arditi) in immagini («A hurricane in a drop of cum»).
Ad affiancare l' omaggio a Giorno - nel tentativo di costruire una collettiva «costruita su un' affinità comportamentale nella tensione verso la sperimentazione linguistica» - opere di artisti contemporanei assai diversi tra loro: dal pluri-acclamato regista Luca Guadagnino, qui presente con una scultura-installazione luminescente - al Kristov Kintera che attira lo sguardo del pubblico con il suo inquietante manichino di un bimbo intento a dare ripetute testate al muro, fino al film di Jeremy Deller sulla cultura rave e acid house, dall' Inghilterra anni 80 ai gay club underground di Chicago.
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Nella stessa occasione, in un' altra area del museo, la Galleria propone anche un omaggio alla fotografa Marina Malabotti (1947-1988).
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