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    PUR DI AVERE UN FIGLIO, CI SONO STRONZE CHE PASSEREBBERO SOPRA A CHIUNQUE – UNA DONNA DI SIENA VOLEVA RICORRERE ALLA PROCREAZIONE ASSISTITA, UTILIZZANDO GLI EMBRIONI CHE ERANO STATI FECONDATI DAL MARITO DA CUI SI È SEPARATA OTTO ANNI FA – A BLOCCARE I DELIRI DELLA 50ENNE È STATO UN GIUDICE CHE, IN MANCANZA DI CONSENSO DA PARTE DELL’UOMO, HA STABILITO CHE NON È POSSIBILE PROCEDERE – ORA LA SIGNORA O ACCETTA LA DECISIONE O PUÒ…


     
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    Estratto dell’articolo di Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera”

     

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    Una coppia che decide di avere un figlio. Il ricorso nell’aprile 2016 alla procreazione medicalmente assistita, la fecondazione di due embrioni in vitro, crioconservati in attesa dell’impianto. Poi la lite, irreversibile, i due si separano e poi divorziano. Tutto finito, restano però ancora quei due embrioni, due vite potenziali.

     

    All’inizio entrambi sembrano disposti a donarli. Passano sette anni, nel 2023 la donna, ormai ultraquarantenne, decide di andare avanti da sola, il desiderio di diventare madre è più forte della delusione della famiglia mancata. L’ex marito si oppone e diffida la clinica a eseguire l’impianto. I due si ritrovano di nuovo in tribunale.

     

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    Prevale il diritto della futura madre? O conta l’opposizione dell’ex marito? Non c’è una legge che disciplini la materia, ma la Giurisprudenza finora ha ritenuto più importanti le ragioni della prima. Questa volta però il giudice, anzi la giudice Valentina Lisi del Tribunale di Siena, con un’ordinanza dello scorso 27 giugno, ha dato torto alla donna, rigettando il ricorso in cui aveva chiesto il via libera all’intervento con un provvedimento d’urgenza.

     

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    La donna aveva chiesto un provvedimento urgente vista l’età, spiegando anche che aveva seguito un percorso psicologico al termine del quale si era sentita «pronta alla genitorialità». La giudice ha obiettato che «ha avanzato la prima richiesta di trasferimento embrionale in utero a distanza di otto anni dalla fecondazione» e che «in tale lungo tasso temporale, la ricorrente ben avrebbe potuto esperire utilmente un ordinario giudizio di merito al fine di veder tutelato il proprio diritto». E si è spinta anche oltre, sostenendo che in questo caso manca anche il necessario «consenso informato» dell’uomo.

     

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    […] La donna ha ancora tre possibilità: accettare la decisione del giudice e rinunciare definitamente al suo proposito, oppure fare ricorso al provvedimento d’urgenza. E infine c’è una terza via: promuovere un giudizio di merito. Con tempi più lunghi, e per tutti l’incertezza su quello che potrà ancora accadere.

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