Estratto dell’articolo di Carlo Macrì per il “Corriere della Sera”
LORENA QUARANTA
L’infermiere calabrese Antonio De Pace non era «stressato dal Covid» quando uccise la fidanzata Lorena Quaranta, 27 anni, originaria di Favara, nell’Agrigentino. Era il 31 marzo 2020 e da un mese l’Italia era in piena pandemia. In primo e secondo grado i giudici di Messina avevano condannato l’infermiere alla pena dell’ergastolo.
La Cassazione, però, proprio in virtù del fatto che si era in pieno lockdown, si era espressa decidendo di annullare con rinvio la condanna dell’ergastolo inflitta all’infermiere, spostando il processo da Messina a Reggio Calabria
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La Suprema Corte si era posta un dubbio: Antonio De Pace quando ha strangolato Lorena, nella casa in cui vivevano, a Furci Siculo, in provincia di Messina, potrebbe «aver agito per stress da Covid» e per questo motivo bisognava valutare l’opportunità di concedergli le attenuanti generiche.
Un rinvio che aveva scatenato non poche polemiche.
I giudici d’appello di Reggio Calabria hanno invece confermato l’ergastolo per l’infermiere ritenendolo, al momento dell’assassinio, «sano di mente e nel pieno delle sue facoltà mentali».
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Il procuratore generale aveva chiesto per De Pace la pena di 24 anni, sposando l’ipotesi suggerita dalla Cassazione. La condanna al carcere a vita per Antonio De Pace arriva a distanza di qualche giorno dalla sentenza emessa nei confronti di Alessandro Impagnatiello, anche lui condannato al massimo della pena per l’omicidio della sua fidanzata incinta Giulia Tramontano.
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«Giustizia è fatta»». Queste le prime parole di Enzo Quaranta, padre della studentessa che stava per conseguire la laurea in Medicina all’università di Messina: voleva diventare pediatra. Il rettore dell’Ateneo messinese, così com’è accaduto per Giulia Cecchettin, ha deciso comunque di conferire a Lorena la laurea post mortem . I genitori della studentessa hanno ribadito come questa sentenza non è solo «per nostra figlia, ma per tutte le donne finite nelle mani di persone brutali». Nei giorni precedenti la sentenza papà Enzo e mamma Nina, avevano lanciato un appello ai giudici reggini: «Ci affidiamo a loro per avere giustizia, per nostra figlia e per tutte le donne».
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[…] «Lui non sopportava l’idea che mia figlia stava per laurearsi in Medicina. Fare il medico era stato sempre il sogno della sua vita. Questa opportunità le è stata tolta per mano di un uomo violento», ha detto Enzo Quaranta. Per il padre l’infermiere soffriva quella disparità professionale: «Lui infermiere, lei medico. Era diventato violento, irascibile».
La notte del 31 marzo 2020 Antonio De Pace, al termine di una discussione con Lorena, l’ha picchiata e poi l’ha strangolata.
Prima di chiamare i carabinieri ha inscenato un tentativo di suicidio, procurandosi dei tagli al petto e alla gola.
Davanti al magistrato l’infermiere ha detto che soffriva di uno stato d’ansia provocato dalla paura del contagio da coronavirus.
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«Era diventato violento — sostiene ancora il padre di Lorena —. Un giorno, al termine di una discussione, aveva spaccato il parabrezza dell’auto di mia figlia. Altro che stress da Covid. Durante la pandemia usciva tutte le sere per andare a giocare alla Playstation da amici».
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