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    LA CINA METTE IL “DIDI” NELLA PIAGA - L’UBER CINESE “DIDI”, HA ANNUNCIATO OLTRE 4 MILIARDI DI EURO DI PERDITE TRIMESTRALI, DOPO L’USCITA DA WALL STREET IMPOSTA DA PECHINO - LA CINA HA ORDINATO AGLI APP STORE DI RIMUOVERE LA SOCIETÀ DI TRASPORTO DALLE PROPRIE PIATTAFORME CON LA SCUSA DI “TUTELARE LA PRIVACY DEGLI UTILIZZATORI” (CIAO CORE) - IL REGIME SPINGE LE SOCIETÀ CINESI A CERCARE FINANZIAMENTI SULLE BORSE NAZIONALI E NON ALL'ESTERO...


     
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    Attilio Barbieri per “Libero quotidiano”

     

    La cinese Didi, equivalente di Uber nell'ex Celeste impero, ha annunciato oltre 4 miliardi di euro di perdite trimestrali, dopo il fallimento della quotazione a Wall Street. Un bilancio disastroso con la fuga precipitosa dal New York Stock Exchange, conseguenza diretta della stretta finanziaria decisa dal governo comunista di Pechino. 

     

    La Cina spinge le proprie società a cercare finanziamenti principalmente sulle Borse nazionali, vale a dire Hong Kong, Shanghai, Shenzhen o Pechino. Ma i vertici della Didi non si erano arresi e avevano organizzato lo sbarco in Borsa, negli States, scatenando le ire del Partito comunista cinese che aveva indotto il governo ad avviare un'indagine contro il gruppo privato. 

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    Cinque mesi dopo l'esordio a Wall Street, Didi ha lasciato, a novembre scorso, il listino newyorchese. Ieri l'annuncio di perdite per 4,7 miliardi nel terzo trimestre, superiori alla somma raccolta dal gruppo durante l'Ipo di giugno scorso, chiusa con adesioni per 4,4 miliardi. 

     

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    SVOLTA SOVRANISTA 

    La società è rimasta letteralmente stritolata dalla svolta sovranista del regime di Pechino che le ha dichiarato guerra all'inizio dell'estate. Con la scusa di «tutelare la privacy degli utilizzatori», il governo cinese ha ordinato agli app store di rimuovere la società di trasporto privato, noleggio auto, consegne a domicilio e servizi finanziari dalle proprie piattaforme. 

     

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    Nonostante le accuse di violazione della riservatezza sui dati degli iscritti non siano mai state documentate, la Cyberspace Administration of China, aveva intimato a Didi Group di apportare modifiche per conformarsi alle norme cinesi sulla protezione dei dati.

     

     Tutto questo senza specificare la natura della ipotetica violazione. Due giorni dopo lo sbarco sul listino di New York, il regolatore cinese annunciava l'apertura dell'indagine su Didi, con la scusa di proteggere «la sicurezza nazionale e l'interesse pubblico». 

     

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    E dire che si era trattato della seconda quotazione più importante di una società cinese dopo quella di Alibaba, avvenuta nel 2014. Didi contava quasi mezzo miliardo di utenti grazie a un pacchetto di servizi offerti in Cina e in quindici altri mercati: dalle vendite di auto, al leasing, fino al noleggio con conducente. Nel 2016 aveva rilevato la filiale cinese dell'americana Uber. 

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    USCITA DI SCENA 

    Fondata nel 2012 da Cheng Wei, giovane ex manager di Alibaba, con un patrimonio personale di oltre un miliardo di dollari, Didi aveva abbandonato Wall Street all'inizio di dicembre, avviando il delisting dopo l'ultima intimazione ricevuta dalla Cyberspace Ad ministration of China. 

     

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    La perdita di quasi 5 miliardi nel terzo trime stre dell'anno, per l'ex gioiello orientale dei trasporti condivisi, è solo l'ultimo atto dell'attacco subi to dal potere comunista. L'inevitabile conseguenza della campa gna per rompere il filo che lega le imprese cinesi ai capitali occidentali.

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