Marco Ventura per “il Messaggero”
IOANNIS - DRAGHI - ZELENSKY - MACRON - SCHOLZ
Potrebbe intitolarsi un treno per Kiev il film della nuova Europa che nella visione dei riformatori europei scaturirà dalla guerra in Ucraina e dalla prospettiva del suo ingresso nell'Unione. Un'Europa come quella che si è sognata a ogni nuovo allargamento, con una governance che superi i veti e la blindatura del voto unanime, un'agilità ed efficienza finora mai viste nella risposta a crisi come quella, tragica, dell'invasione dell'Ucraina, e un balzo avanti del nucleo di Paesi forti che dovrebbero trainare l'Unione verso l'autonomia accarezzata dalla recente Dichiarazione di Versailles nei settori alimentare, energetico e militare. Percorso non facile, di costruzione di una propria identità politica.
ZELENSKY E MACRON
A catalizzare il processo potrebbero essere quel treno per Kiev e la mano tesa dei leader dell'Unione a Zelensky? Draghi che invita gli europei ad avere coraggio? Macron per il quale l'Ucraina fa già parte della famiglia europea? «È possibile che il Consiglio Europeo la prossima settimana riconosca all'Ucraina lo status di Paese candidato», dice l'ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, già Commissario europeo e oggi presidente dello Iai, l'istituto affari internazionali.
«Questo però non significa una prospettiva di adesione a breve o media scadenza. Il processo di adesione, molto complicato, dura normalmente tra i 10 e i 15 anni, lo abbiamo visto coi Paesi dell'Europa centro-orientale e adesso coi Balcani occidentali. Il valore dell'offrire la candidatura a Kiev è politico-simbolico, di sostegno e solidarietà a un Paese aggredito, con un disperato bisogno di rimanere ancorato all'Europa». Ma questa prospettiva comporta anche il rischio di «creare delle frustrazioni se poi non si realizzerà nei termini auspicati, è una strada molto pericolosa».
ZELENSKY - DRAGHI - SCHOLZ - MACRON
Nelli Feroci prevede che si arriverà a riconoscere lo status di candidato pure alla Moldova, «forse non alla Georgia», ma il processo già lungo e complesso «rischia di esserlo ancora di più per l'Ucraina, che potrebbe uscire da questo conflitto nella migliore delle ipotesi spezzata in due».
Il progetto c'è, e sicuramente la guerra, mentre pone sia l'Europa sia gli Usa di fronte alla necessità di contrapporsi contemporaneamente a Russia e Cina, rappresenta anche una opportunità secondo il Cepa, Center for European Policy Analysis, think tank di Washington: «Svezia e Finlandia hanno deciso di unirsi alla Nato, cosa inimmaginabile solo un anno fa. Come la distruzione della Seconda guerra mondiale ha aperto la strada a una nuova concezione dell'Europa, il trauma dell'invasione dell'Ucraina offre la possibilità di rivitalizzare l'ordine europeo e trasformare lo schema del confronto con la Russia». In particolare, secondo un dossier del Cepa, la guerra russo-ucraina chiarisce quali siano le esigenze dell'Europa.
LA STRETTA DI MANO TRA DRAGHI E ZELENSKY
I GAP DA COLMARE
I punti sono questi: «Sviluppare meccanismi più agili di risposta rapida alle minacce alla sicurezza, definire una politica di difesa e sicurezza comune complementare alla Nato, colmare il vuoto di leadership con una Germania che assuma il proprio ruolo di protagonista strategico, e garantire che il Regno Unito sia più integrato nelle infrastrutture della sicurezza europee». Per Nelli Feroci, «prima di allargarsi ulteriormente la Ue dovrebbe rafforzarsi al proprio interno con alcune riforme necessarie, a partire dalla riduzione significativa del numero di decisioni all'unanimità. Se n'è parlato a ogni allargamento, ma sempre senza risultati».
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IL SOGNO FEDERALE
Quanto alla visione di un'Europa non soltanto confederale, come di fatto è oggi, ma federale, «al momento non ci sono le condizioni politiche, a meno che non si decida di procedere a partire da un gruppo più ristretto di Paesi, rafforzando il meccanismo di governance dell'Eurozona, il nucleo duro dell'Unione».
Scettico l'ambasciatore Umberto Vattani, già segretario generale della Farnesina. «Si cerca di tenersi per mano tutti gli europei il più possibile allineati, per andare dove? Temo che abbiamo sottovalutato l'importanza di quello che sta succedendo. Già abbiamo mille problemi e su tante cose non siamo d'accordo. L'allargamento così rapido al Centro Europa ha creato difficoltà notevoli nelle decisioni, perché quei Paesi la pensano diversamente da noi e si fanno sentire. Una ulteriore apertura e la modifica delle regole acuirebbero il problema, e comporterebbero anche un impegno finanziario colossale».
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