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    L’ULTIMA MOSSA DI ALESSANDRO MICHELE PRIMA DI LASCIARE GUCCI? INTERVISTARE I MANESKIN SU "VOGUE" – LO STILISTA VA IN CALORE: “QUANDO CI SIAMO INCONTRATI È STATO COME QUANDO FAI SESSO PER LA PRIMA VOLTA CON LA PERSONA CHE TI PIACE E DICI: ERA OVVIO CHE AVREMMO FATTO L’AMORE IN MODO STRAORDINARIO” – “ROMA? ABBIAMO UN RAPPORTO CON LO SCORRERE BRULICANTE DELLA VITA MOLTO INTIMO, PORNOGRAFICO” – E I RAGAZZI RACCONTANO DEL PERIODO IN CUI ERANO CONSIDERATI “STRANI”… - VIDEO


     
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    Chiara Tagliaferri per www.vogue.it

     

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    Ogni volta che si incontrano, la prima cosa che Alessandro Michele domanda ai Måneskin è sempre la stessa: «Siete stanchi?». E in questo piccolo gesto di cura c’è tutta la tenerezza che scorre fra loro, che si inseguono nel mondo disegnando l’uno i corpi degli altri che bruciano sui palchi infiammando ogni cosa.

    Hanno una caratteristica in comune: la creazione è per loro un atto di ribellione, e se volessimo risalire al punto in cui la miccia innesca l’esplosione ci troveremmo a Roma, città che in mezzo al caos fa germogliare la meraviglia e un barlume di redenzione…

     

    Alessandro: Non ne voglio fare una questione geografica, ma di energia e traiettorie. È una specie di terra di mezzo in cui la dimensione del sogno e del possibile si incrociano dando vita a uno spazio di libertà. A Roma le cose accadono perché dovevano succedere, non è un discorso legato ai soldi o al business. È una città gravida di attività, una lupa con tante mammelle portatrice di strane opportunità. Veniamo da una città pagana prima ancora che cristiana, io mi sento pagano. Abbiamo un rapporto con lo scorrere brulicante della vita molto intimo, pornografico: bruciamo nel momento in cui tutto succede. La creatività nasce e prolifica in una dimensione profondamente umana. 

     

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    Damiano: Roma ti aiuta anche a ridimensionarti: non importa dove tu debba andare, potrebbero volerci dai trenta minuti a un paio d’ore, al Raccordo Anulare non gliene frega nulla se stai su una Ferrari o su una Panda. Rispetto a Roma non conterai mai niente, sei uno spettatore che vive la città. Lo sperimento anche con Giorgia (Soleri, ndr), la mia fidanzata che si è trasferita da Milano e non capisce, e io le dico sempre: «Devi smetterla di cercare di controllare le cose e abbandonare il tuo corpo al fiume di Roma». Per il barista sotto casa mia io sono il ragazzetto dell’ultimo piano, simpatico ed educato, Damiano dei Måneskin non esiste. L’unica regola che vale qui è “Mi stai simpatico, mi stai antipatico”. In questa città che relativizza e spiana le differenze ognuno rivendica il diritto di dare il suo giudizio. 

     

    Victoria: Il mio rapporto con Roma è cambiato negli anni, adesso è la città che amo di più al mondo. Mi piace la sua crudezza: ti riporta alla realtà e – immersi come siamo in esperienze folli e pazzesche – ci aiuta parecchio. Los Angeles, Londra e New York sono stimolanti, ma tornare a casa mi permette di andare poi nel mondo senza perdermi. Da piccola non la vivevo così bene: sono cresciuta a Monteverde che è un quartiere molto tranquillo, e mi ricordo che quando abbiamo iniziato a suonare per strada, alle medie, ci prendevano tutti in giro, eravamo gli strani, quelli vestiti in modo bizzarro. Se fossimo stati più fragili questa cosa ci avrebbe bloccati, invece ci è scattato il senso di rivalsa, che ci ha accesi ancora di più.

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    Thomas: Io sono innamorato di Trastevere, durante la pandemia ho preso un airbnb lì, era come vivere in un paese luminoso: 10.000 abitanti che si conoscono tutti. Le persone entrano davvero in contatto con te.

     

    I Måneskin ci parlano di Roma mentre si trovano a Città del Messico, dove hanno appena tenuto un concerto piuttosto epico. Io e Alessandro Michele siamo collegati con loro proprio da questa città millenaria che deposita sulle tue spalle la polvere degli dèi. Victoria, Damiano, Ethan e Thomas ci raccontano di gite sui canali con i mariachi che suonavano e i messicani che cucinavano sulle barche per festeggiare il “Día de los muertos”. Mentre li guardo – i corpi pigri, ancora pieni di sonno e attorcigliati nel sole di una mattina lucente – penso che ha ragione Liliana Segre quando dice che ama la loro musica anche se, a volte, deve approfondire i testi perché «a forza di guardare loro, perdo di vista le parole».

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    I Måneskin fanno questo effetto: li guardi e rimani incantato. Alessandro Michele una volta ha detto: «Prima di comunicare con le parole, comunica il corpo», e i loro corpi raccontano la libertà della sessualità anche grazie all’armonia d’intenti che hanno imbastito insieme, cucendo un’unione di trame potenti che il direttore creativo di Gucci spiega così:

    Alessandro: Sono un appassionato piromane e quando arriva il combustibile divento pazzo di felicità. Li seguivo e ho pensato: “Questa cosa deve succedere”, perché dialogavamo già senza saperlo. Quando ci siamo incontrati è stato come quando fai sesso per la prima volta con la persona che ti piace e dici: «Era ovvio che avremmo fatto l’amore in modo straordinario».

     

    alessandro michele alessandro michele

    Un progetto così si può realizzare solo se c’è una grandissima sintonia: è una mole di lavoro incredibile perché loro fanno tantissime cose, ma in questa iperproduzione mi ci ritrovo perché io iperproduco, e insieme diamo vita a un lunghissimo rosario in cui sgraniamo abiti, giacche, guêpière, bustini e incroci impossibili. Gli abiti che piacciono a me sono i vestiti con i corpi dentro e con loro c’è questa precisione del rito: i vestiti diventano un falò, si bruciano e si polverizzano sul palco. 

     

    Damiano: Eravamo già sulla stessa strada, il nostro incontro ha reso tutto più semplice fin dal primo momento. Ogni volta Alessandro fa questa magia: entra nella nostra musica e la trasforma in quell’impatto estetico che ci aiuta a “suonare” anche con i nostri corpi.

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    Thomas: L’aspetto che più mi piace del lavorare insieme è vedere tantissima professionalità unita a un lato artistico molto forte, che non è per nulla scontato. E poi ci divertiamo parecchio, durante i fitting ridiamo moltissimo.

     

    Alessandro: Una cosa che accomuna il mio modo di lavorare con il vostro è che voi fate bruciare (il fuoco è chiaramente l’elemento di questo nostro dialogo, oggi) qualcosa che è già stato. Avete preso un genere che dormiva in qualche cantina, etichettato da qualcuno come “vecchio, desueto”, e lo avete riportato nell’adesso, facendolo avvenire. Voi siete un “già stato” che diventa contemporaneo, impossibile da decifrare. Che rapporto avete con il passato?

     

    Damiano: Quello che ha fatto la differenza per noi è che sì, ci siamo legati a qualcosa che proviene dal passato, ma non ne abbiamo rispettato i canoni. Abbiamo semplicemente fatto quello che ci piace, esprimendoci per come eravamo. Chi si definisce purista del rock non va a Sanremo o all’Eurovision, ma non ci poniamo quel tipo di problema. Essere popolari non è una macchia, non ti sporca. Nessuno apre un ristorante pensando: “Non m’interessa riempire la sala”. Io voglio la fila fuori!

     

    Victoria: Quando scriviamo la nostra musica facciamo quello che ci viene istintivo. Ognuno di noi porta il suo sentire e le sue ispirazioni: io, per esempio, sono cresciuta ascoltando David Bowie, i Led Zeppelin, Blondie e i Sex Pistols. Così quando ci troviamo in studio siamo un bel mix di mondi differenti: a volte questa cosa ci fa arrivare allo scontro e rende più complicato il processo creativo, però alla fine il risultato non è mai la copia di qualcosa di già esistente perché riusciamo a trovare un nuovo percorso, una via solo nostra. 

     

    Thomas: È vero, mescoliamo moltissimo i nostri gusti e da quando siamo nati come band ci siamo evoluti nel nostro modo di suonare. L’approccio rock ce l’abbiamo sempre avuto sul palco, questa elettricità che trasmettiamo ci viene naturale. E poi io, a differenza tua Alessandro, sul passato sono un po’ nostalgico: sono cresciuto con mio padre che mi ha fatto ascoltare le grandi rock band, quell’attitudine la mastico da sempre.

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    Ethan: Vorrei aggiungere che secondo me il tempo non esiste, è un po’ un’illusione. In qualche modo presente, passato e futuro sono la stessa cosa, solo che noi abbiamo la percezione degli istanti che passano uno dopo l’altro, quindi il passato è il presente che abbiamo vissuto, e il futuro è il presente che vivremo. È come quando ci immaginiamo fra due specchi, uno davanti e uno dietro: si crea quel tunnel infinito in cui ogni movimento viene eseguito sia dallo specchio anteriore che da quello posteriore, e diventa una specie di collante. La differenza fra il passato e il futuro è semplicemente questa: il passato vede la tua schiena, mentre il futuro vede il tuo volto, tu sei nel mezzo e sei un miscuglio dei due, e qualsiasi azione tu compia avviene sia perché hai fatto qualcosa prima sia per quello che farai dopo.

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    Alessandro: Secondo la tua teoria degli specchi, pensa se tu volti le spalle al futuro e guardi al passato, che riflette quindi quello che potrebbe essere il futuro. Mi piace il tuo pensiero, il presente è una sperimentazione percettiva, però forse il tempo lo decidiamo noi, e voi l’avete un po’ deciso. Che rapporto avete, con il tempo? 

     

    Victoria: È una relazione complicata, la mia. Banalmente uno vorrebbe quello che non ha in quel momento: fino a due anni fa quando eravamo in tour mi mancavano Roma, la mia famiglia e i miei amici, ma quando tornavo mi bastava una settimana e friggevo, mi sentivo disorientata. Da un paio d’anni siamo in un moto perpetuo, ed è pazzesco ma anche pericoloso perché la mancanza di tempo rischia di intaccare il lato artistico: può capitare che ci troviamo a scrivere una canzone in cinque giorni ed è davvero insensato, dovremmo prenderci tutto il tempo del mondo per la nostra musica.

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    Damiano: Le mie pillole di vita mancata le spenderei per stare con gli amici, la famiglia, la mia fidanzata. Vorrei vivere una convivialità che negli ultimi anni non mi sono permesso perché mi sono sempre detto: «Gli obiettivi prima di tutto il resto». L’ho fatto con lo sport e ora con la musica. Adesso che sono più grande e ho un rapporto diverso con i miei genitori e con mio fratello, molto più paritario, vorrei godermeli.

     

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    Ethan: Io andrei su una montagna, cercherei un monastero e qualcuno che possa insegnarmi quello che non riesco ad afferrare da solo. 

     

    Thomas: Quello del tempo è un tema che soffro molto. La cosa che più mi manca è avere del tempo per crescere come musicista, per portare tutto quello che imparo all’interno del nostro gruppo. Quando una macchina va così veloce è veramente difficile mantenere una componente artistica alta. Per questo mi prendo dei momenti – anche quando sono distrutto – in cui mi metto a suonare, non voglio rimanere indietro rispetto ai sogni che ho su di me. 

     

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    Ethan: La sensazione che hai appena descritto è anche una mia ossessione: la chiamo “il paradosso dell’artista famoso”. Prima di diventare famoso, l’artista non è nessuno e ha tutto il tempo per studiare, quando la sua arte diventa famosa anche l’artista lo diventa, ma per via della fama non ha più il tempo di fare l’arte, è un loop…

     

    Damiano: È la malattia che ha colpito la musica negli ultimi anni. Siamo abituati a vedere artisti in promozione costantemente, sono sbalordito dalla mole di lavoro di Harry Styles, che probabilmente negli ultimi quattro anni non si è fermato un giorno. Da una parte dico: «Wow, che forza di volontà», ma mi chiedo se sia giusto abituare il nostro pubblico a questo tipo di consumo, si perde che siamo degli esseri umani.

     

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    La sovraesposizione, e il lavorare troppo oltre alle proprie possibilità, è quello che ha distrutto le carriere dei migliori artisti delle ultime generazioni. Quando non riesci più a viverti la tua vita perché da una parte sei sommerso dalle responsabilità e dall’altra sei divorato dalla paura di sparire (cosa succede se dico di no all’intervista, alla tv, al tour), inizi a soffocare. Eviterei una seconda ondata di musicisti che impazziscono o muoiono gonfi di medicinali: ci sono tanti buoni artisti, me li terrei in salute per i prossimi anni!

    victoria dei maneskin sul cesso victoria dei maneskin sul cesso

     

    Alessandro: Ero già grande quando sono diventato noto al pubblico della moda, avevo quasi quarantadue anni, e ho capito che devi tenerti stretto chi sei e dove vai: devi volerti molto bene e devi volere altrettanto bene a quello che fai. Bisogna anche imparare a dire molti no. Siamo esseri umani a cui piace creare mondi: voi immaginate suoni che non esistono e li mettete insieme, io vedo cose che qualcuno non vede.

     

    È un grande regalo poter condividere con gli altri quello che sentiamo e che vogliamo raccontare. Le cose che faccio mi devono corrispondere: finché ci sarà un po’ di voi nella musica che fate, quella sincerità vi ripagherà. Nel mio tempo libero, per esempio, sto praticando l’ozio. Sto ancora imparando perché sono abituato – sempre – a inventare qualcosa. Sto sperimentando in maniera non filosofica, ma pratica, cosa succede se trovo lo spazio per dire: «Chissà se resisto senza fare niente». Nella vita ho sviluppato un senso di colpa calvinista nei confronti del non fare, ma l’ozio è creativo, è una pratica che aiuta a sviluppare i sensi.

     

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    Rispetto ad Alessandro Michele e ai Måneskin sono una principiante dei viaggi: scrivo libri e prendo aerei e treni per accompagnarli nel mondo, ma niente di paragonabile ai loro ritmi e alle loro vite. Eppure spostarmi, dormire negli alberghi è sempre un po’ straniante per me, mi fa sentire scomoda. Così mi aggrappo spesso agli odori: quando sento un odore che mi ricorda casa mi sento meno sola. E ho scoperto che vale anche per Ethan…

     

    Ethan: Gli odori sono molto interessanti, spesso non ce ne rendiamo conto ma sono delle porte temporali. L’altro giorno, per esempio, ho sentito un odore che avevo rimosso e che mi ha riportato fisicamente in un posto a cui non pensavo più da un sacco. Per un anno ho vissuto in camper, non avevo molte disponibilità economiche in quel periodo e la cucina della mia roulotte aveva un odore molto specifico. Quando l’ho risentito ho pensato con tenerezza: “Me l’ero scordato!”.

    VICTORIA DE ANGELIS VICTORIA DE ANGELIS

     

    Damiano: Per me niente odori, ma tantissimi peli di gatto. Ho sempre i vestiti pieni di peli di gatto, ogni volta che apro la valigia mi ricordo dei gatti, dunque sono loro le mie porte temporali: mi riportano a casa. Tra l’altro, i gatti sì che praticano l’ozio da professionisti.

     

    Alessandro: È vero, gli animali sono grandi maestri dell’ozio: vivono questo tutt’uno cosmico che è bellissimo, l’adesso è una dilatazione continua per loro mentre noi, inquieti, ci preoccupiamo di un futuro pronto a punirci per le nostre scelte. 

     

    Thomas: Io ho smesso con gli animali domestici: a undici anni ho scelto il mio adorato piranha, gli volevo tantissimo bene, è stato con me per dieci gloriosi anni, ma poi è morto. Non l’ho voluto sostituire con nessuno, ogni tanto lo vado a trovare: l’ho seppellito nel cortile del palazzo, così l’ho sempre vicino.

     

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    Alessandro: Hai fatto come Peggy Guggenheim che ha voluto tutti i suoi cagnolini sepolti accanto a lei. Con il mio compagno abbiamo un rito: ogni volta che andiamo a Venezia li passiamo a trovare, ci fermiamo davanti alla lapide, leggiamo i nomi che ormai so a memoria: Cappucino, Hong Kong, Gypsy, Baby… Il rapporto che abbiamo con queste creature è misterioso, quasi sciamanico: in loro ricerchiamo il bisogno di noi, ci piacciono perché ci permettono di ritrovare un dialogo perduto, affettuoso e intimo… Ma ho un’altra curiosità: anche se ve l’avranno chiesto molte volte mi interessa capire il vostro rapporto con Victoria, dal di fuori sembra che ci sia una grande complicità fra voi.

     

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    Damiano: È come in quelle famiglie numerose, tanti fratelli e sorelle. Dopo un po’ te lo scordi che tua sorella è una femmina!

    Thomas: Passiamo talmente tanto tempo insieme che non c’è più quella cosa, non c’è quella barriera che di solito senti fra i generi.

     

    Damiano: Esatto, non c’è l’imbarazzo di voler fare colpo o la paura di sembrare che ci provi… Ormai tutti sappiamo che nessuno ci proverà mai con Vic, e Vic non ci proverà mai con noi, siamo amici. Vuole stare nuda? Stesse nuda! Facciamo tutti come ci pare, dopo sette anni siamo la stessa cosa.

    i maneskin alla sfilata cosmogonie di gucci 3 i maneskin alla sfilata cosmogonie di gucci 3

     

    Victoria: Nella nostra famiglia non sento nessun tipo di differenza. Sono molto libera, in generale il sesso delle persone non può e non deve mai essere una discriminante, ma credo di essere fortunata: non sono mai stata trattata diversamente perché femmina. Non è sempre così: ci sono molti ambienti in cui il divario di genere crea una disparità di trattamento inaccettabile, ti senti costantemente sessualizzata, ispezionata e trattata come un oggetto.

    i maneskin al gucci fashion show i maneskin al gucci fashion show

     

    Ethan: ci tengo anche a dire che nascere con una vagina o con un pene non fa di te né una donna né un uomo. Mi interessa l’anima delle persone, che non è maschile o femminile: è semplicemente un’energia.

    Li ascolto parlare e penso ai versi di Rupert Brooke: “Cercherò e troverò i migliori tra i miei desideri”: loro non tentennano rimasticando condizionali, hanno quella sete che li fa andare avanti mentre io sono certa di perdere sempre tutto: dormo e intanto il mondo sfavilla. Ma poi Thomas racconta di una sera a casa di Madonna…

     

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    Thomas: Vic esce tutte le sere, anche io vorrei ma è difficile starle dietro. Qualche giorno fa ho conosciuto un ragazzo italiano che vive a New York e mi ha invitato a una festa. Ci sono andato mentre Vic, stranamente, è tornata in albergo: credo sia stata la prima volta in due anni che è capitato, ed è successo che mi sono ritrovato seduto a fianco di Madonna. L’ho chiamata e le ho detto: «Vic, sto a casa di Madonna!». Ha rosicato moltissimo. 

     

    Victoria: È stato bruttissimo! Anche se sono distrutta esco sempre perché ho paura di perdermi le cose e infatti avevo ragione: l’unica volta che sono andata a dormire ho bucato la festa a casa di Madonna, quindi questa è la dimostrazione che devo uscire ancora di più!

     

    Alessandro: Nel vostro ménage quotidiano avete dei compiti? C’è qualcuno particolarmente bravo in qualche cosa? Io, per esempio, sono il depositario delle medicine: so dove si trova tutto e il mio compagno, quando ha bisogno, chiede a me. Potrebbe prenderle da solo, ma è un gesto di cura che mi piace avere per lui.

     

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    Damiano: Posso contare su Thomas perché è curioso, ama infilarsi in situazioni in cui da solo non finirebbe, per esempio è venuto con me alle partite dell’NBA anche se non è un patito di basket. Vic è la più organizzata a livello di agenda e ci ricorda gli appuntamenti, poi però arriva fissa con un quarto d’ora di ritardo! Ethan è l’interlocutore perfetto: ha doti platoniche, possiamo parlare per ore e ore.

     

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    Thomas e Victoria: Damiano è molto pragmatico, niente voli pindarici e arriva dritto al punto, è una roccia.

    Alessandro: Potremmo non finire mai questa chiacchierata, mi piacete tanto perché avete un dono prezioso: siete in contatto con la vita, magari per voi è un riflesso inconscio, ma quando vi incontro sento questa scossa elettrica. Avete una consapevolezza bellissima, ed è una cosa di cui è importante prendersi cura.

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