Estratto dell’articolo di Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
«Dovete tener conto dell’evoluzione dei modelli familiari e sociali e rispettare il principio costituzionale di uguaglianza di genere femminile e maschile». L’ha sancito la Corte d’appello di Venezia con una sentenza che di fatto condanna il maschilismo perdurante in certe montagne venete, dove vengono negati alle donne i diritti sulle proprietà collettive. Parliamo di Regole, di queste antiche istituzioni che nelle Dolomiti governano da secoli i beni fondiari indivisi come boschi e pascoli attribuendo ai soli figli maschi ogni prerogativa ereditaria.
REGOLA DI CASAMAZZAGNO
La sentenza riguarda in particolare la Regola di Casamazzagno, nel Comelico, ma stabilisce un principio generale che coinvolge l’intero territorio, compresa l’area più famosa e tradizionalista di Cortina d’Ampezzo che si è sempre opposta a ogni tentativo di emancipazione. «É il momento di cambiare — rilancia ora Stefano Lorenzi, il segretario generale delle Regole ampezzane che da anni vorrebbe adeguare lo statuto all’evoluzione sociale —. Da noi è dura perché c’è uno zoccolo duro di intransigenti.
Questi regolieri temono che attraverso la donna arrivi il forestiero perché se si sposa con un uomo che non è del luogo, i figli potrebbero portare un cognome non originario. Insomma, qui vogliono evitare il rischio che gli Esposito sostituiscano i Ghedina. Naturalmente è un timore infondato e anacronistico nella società attuale che riconosce oltretutto il doppio cognome. Però questa cosa da noi è ancora un tabù, mi auguro che i nostri si diano una svegliata».
CASA DELLE REGOLE
Non è questione di poco conto. Le proprietà delle Regole in quest’angolo paradisiaco d’Italia supera infatti l’80% del territorio e le antiche famiglie, circa 1.100, rappresentano il 40% dell’intera popolazione residente (un secolo fa erano il 95%). «Hanno paura di perdere l’identità e non si rendono conto che invece la perdono se non si adeguano. Il numero dei nuclei storici è infatti in costante calo, visto che si fanno sempre meno figli e che si estinguono quelli senza una discendenza maschile.
[…] «Il problema è che le Regole non li fanno propri pretendendo una sovranità che non c’è. Loro dicono che le donne sono ammesse ma in realtà è ammessa la partecipazione solo nel caso in cui non si sposino o prendano per marito un residente che deve essere pure regoliere. È mai possibile che una ragazza, se non vuole perdere i diritti, debba sposare un indigeno? E che la Regione […] taccia?». […]