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    “COME ERI VESTITA?” - E’ LA PROVOCAZIONE LANCIATA DALL’UNIVERSITA’ DEL KANSAS CHE HA ORGANIZZATO UNA MOSTRA CONTRO GLI STEREOTIPI SULLE DONNE VIOLENTATE: IN ESPOSIZIONE UNA SERIE DI VESTITI E LE TESTIMONIANZE DEGLI STUPRI - “SMETTETE DI SENTIRVI IN COLPA E DI SUBIRE L'OFFESA DI CHI VI DICE CHE VE LA SIETE CERCATA” - FOTO


     
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    Giusi Fasano per il Corriere della Sera

     

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    Cronache da un processo alle vittime. Com' era vestita? Leggins trasparenti? Maglietta attillata? Scollatura provocante? Magari aveva una minigonna inguinale... Subire una violenza sessuale e sentirsi sotto accusa - nel 2017 - per quel presunto «concorso di colpa» figlio di vecchi stereotipi duri a morire. Succede ancora, quasi quarant' anni dopo il « Processo per stupro » che la Rai mise in onda nel 1979. Erano scene da una vera aula di giustizia dove la violentata finì idealmente sul banco degli imputati perché, dissero gli avvocati degli stupratori, non era «di buoni costumi» e di sicuro, giurarono, aveva le sue colpe in quella brutta vicenda.

     

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    Non era chiaro, e non lo è del tutto nemmeno oggi, che davanti a uno stupro i riflettori devono puntare la luce sul carnefice, non sulla vittima. Sulle azioni di chi prende quel che vuole senza consenso, non su chi è costretto ad assecondarlo. Ed è scoraggiante l' idea che oggi - nel 2017 - torni a galla di tanto il tanto il «te la sei cercata», poco importa se è riferito al modo di vestire o ad altro. What Were You Wearing ? Che cosa indossavi? Chiede il titolo di una mostra allestita dagli studenti dell' Università del Kansas, nel Midwest degli Stati Uniti.

     

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    Sono esposti 18 vestiti, accanto a ciascuno c' è un pannello con una storia (vera) di poche righe raccontata da una donna che ha subito abusi sessuali e che indossava un vestito proprio simile a quello, quand' è successo. La mostra, voluta dalla direttrice dell' Istituto universitario per la prevenzione e l' educazione sessuale Jen Brockman, è fatta di pantaloni, maglioni, vestiti, magliette di uso comune. Non sono i «reperti» dei casi di violenze indossati davvero dalle vittime, li hanno portati gli studenti.

     

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    Ed è proprio questo il senso del messaggio per le donne: smettete di sentirvi in colpa e di subire l' offesa di chi vi dice che ve la siete cercata per via di com' eravate vestite. Di abiti così ce ne sono in ogni casa, in ogni armadio. «T-shirt e jeans. È successo tre volte nella mia vita, con tre persone diverse. E ogni volta avevo addosso t-shirt e jeans» racconta uno dei cartelli. «Un vestitino carino. Mi è piaciuto appena l' ho visto volevo solo divertirmi quella notte (...) Mi ricordo di come strisciavo sul pavimento cercando quello stupido vestito» è la storia legata a un abitino rosso.

     

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    «Un prendisole. Mesi dopo mia madre, in piedi davanti al mio armadio, si sarebbe lamentata del fatto che non lo avevo più messo. Avevo sei anni» rivela un' ex bambina dall' infanzia violata. Le storie sono state raccolte dagli studenti che in alcuni casi hanno parlato direttamente con le vittime. Donne alle quali la sola cosa da chiedere era: come posso aiutarti?

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