Silvia Caprioglio per LaPresse
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L'uso prolungato del cellulare non è associato all'incidenza di tumori nelle parti del corpo più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate. È quanto emerge dal Rapporto Istisan 'Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche' diffuso dall'Istituto superiore di sanità e curato da un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (Iss, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea).
L'analisi ha passato in rassegna numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rilevando incrementi dei rischi di tumori maligni o benigni in relazione all'utilizzo su un arco di 10 anni dei telefoni mobili. Nel 2011 la Iarc, Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha classificato le radiofrequenze tra i possibili cancerogeni. Rispetto a quella valutazione, le stime di rischio considerate dal Rapporto Istisan, viene sottolineato, sono più numerose e più precise.
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Gli impianti di telecomunicazione sono aumentati nel tempo ma l'intensità dei segnali trasmessi è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali. I sistemi per il wifi hanno basse potenze e cicli di lavoro intermittenti e a casa e a scuola danno luogo a livelli di radiofrequenze molto inferiori ai limiti ambientali vigenti.
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La maggior parte della dose quotidiana di energia a radiofrequenze deriva dall'uso del cellulare, ma la potenza media per chiamata di un cellulare connesso a una rete 3G o 4G (Umts o Lte), quelli di ultima generazione, è 100-500 volte inferiore a quella di un dispositivo collegato a una rete 2G. Ulteriori drastiche riduzioni dell'esposizione si ottengono con l'uso di auricolari o viva-voce. In modalità stand-by, il telefonino emette segnali di brevissima durata a intervalli di ore, con un contributo trascurabile all'esposizione personale.
i telefono sono potenzialmente cancerogeni
Per quanto riguarda le future reti 5G, al momento secondo gli esperti non è possibile prevedere i livelli ambientali di radiofrequenze associati allo sviluppo del cosiddetto Internet delle cose (Iot); le emittenti aumenteranno, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali comporterà un'ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti.
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La letteratura scientifica sugli effetti acuti o cronici dell'esposizione a radiofrequenze conta migliaia di studi sperimentali e centinaia di studi epidemiologici. I notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni di essi, affermano gli esperti, non sono coerenti con l'andamento temporale dei tassi d'incidenza dei tumori al cervello che, a quasi 30 anni dall'introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione. Sono in corso ulteriori studi orientati a chiarire le residue incertezze riguardo ai tumori a più lenta crescita e all'uso del cellulare iniziato durante l'infanzia. Quanto, invece, all'ipotesi di un'associazione tra radiofrequenze emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile, suggerita da alcune analisi di correlazione geografica, essa non appare confermata.
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