• Dagospia

    NUN TE REGGAE PIÙ - LA BAND REGGAE SVIZZERA "LAUWARM" VIENE CACCIATA DA UN LOCALE A BERNA DURANTE UN CONCERTO PERCHÉ ACCUSATA DI "APPROPRIAZIONE CULTURALE" - I MEMBRI DEL GRUPPO, TUTTI BIANCHI, SAREBBERO "COLPEVOLI" DI PORTARE I DREADLOCK E INDOSSARE VESTITI MULTICOLORE AFRICANI - IL CASO HA FATTO SCOPPIARE UNA POLEMICA NEL PAESE, CON IL PARTITO SVIZZERO NAZIONALISTA E CONSERVATORE CHE HA PRESO LE DIFESE DEI MUSICISTI: "DISCRIMINATI PERCHÉ BIANCHI…"


     
    Guarda la fotogallery

    Daniel Mosseri per “il Giornale”

     

    Lauwarm Lauwarm

    Il concetto si è sviluppato negli ambienti accademici statunitensi impegnati a lottare contro il razzismo, e ha presto preso piede in Europa. Si chiama «appropriazione culturale» e, secondo l'Oxford Dictionary si traduce con «l'adozione involontaria o inappropriata dei costumi, delle pratiche, delle idee di un popolo o di una società da parte di un'altra persona o società tipicamente più dominante».

     

    Un esempio eclatante: durante la campagna per la sua rielezione nel 2021 il primo ministro canadese Justin Trudeau si scusò dopo che erano state fatte circolare in rete alcune sue foto, studente a una festa universitaria dal tema «Arabian Nights», con un turbante in testa e il volto dipinto di nero.

    Lauwarm Lauwarm

     

    «Sono profondamente dispiaciuto e chiedo scusa», affermò Trudeau, poi rieletto. Il capo del governo di Ottawa ammise anche di aver cantato al liceo la famosa Banana-song («Day O.») di Harry Belafonte, sempre con il volto dipinto di nero. Come tante definizioni, però, anche quella della «cultural appropriation» è sfuggita di mano a chi l'ha messa per iscritto.

     

    Lauwarm Lauwarm

    Dal Canada si passa così a Berna. Qua, riferisce il Corriere del Ticino, lo scorso 18 luglio la band Lauwarm si stava esibendo in un ristorante cittadino. I Lauwarm sono cinque ragazzi elvetici, tutti bianchi, e il loro repertorio è principalmente reggae, il genere giamaicano reso famoso da Bob Marley. Durante l'esibizione nel bar-ristorante sono partiti i fischi: la contestazione da parte di un gruppo di avventori è cresciuta e il gruppo ha dovuto interrompere lo show.

     

    I cinque ragazzi sono stati accusati di appropriazione culturale perché due di loro hanno in testa i dreadlocks, ossia i capelli annodati in lunghe trecce così come li portano i rastafariani giamaicani (e con loro anche milioni di induisti, e altri popoli del mondo fra cui i guerrieri Masai in Kenya e Tanzania e molti aborigeni australiani). Aggravante: i due musicisti della band elvetica indossavano anche vestiti multicolore di foggia africana. Davanti alle proteste, la Brasserie Lorraine ha cancellato la performance scusandosi con chi si fosse sentito a disagio durante il concerto.

     

    Lauwarm Lauwarm

    Le proteste contro i Lauwarm sono presto uscite dal Brasserie Lorraine di Berna. Per primi si sono scatenati i social. Su Facebook molti utenti si sono chiesti se adesso sia necessario essere giamaicani per suonare il reggae, se i contestatori fossero al corrente che il papà di Bob Marley era un uomo bianco o se abbia senso importare in Svizzera l'Oktoberfest che invece dovrebbe essere relegato in Baviera.

     

    Il passo successivo è stato l'intervento dei giovani della Udc, partito svizzero nazionalista e conservatore che, riferisce ancora il CdT, «ha presentato una denuncia contro il ristorante-bar storicamente di sinistra, per violazione della legge antirazzismo». L'interruzione del concerto, ha scritto il presidente dei giovani Udc Nils Fiechter, «è l'unica cosa razzista veramente accaduta nella Brasserie Lorraine: i membri della band sono stati discriminati perché bianchi».

    Lauwarm Lauwarm

     

    Ai contestatori del ristorante forse non farà piacere apprendere che i calciatori della Premier League non si inginocchieranno più prima delle partite in segno di solidarietà verso il movimento «BlackLivesMatter» e contro il razzismo. La decisione è stata annunciata da Londra al termine di una riunione con i capitani delle 20 squadre del campionato. La ragione? «Non si vuole rischiare di inflazionare un messaggio che, invece, è ricco di significato».

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport