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' OMOFOBIA, LA TRANSFOBIA E LA BIFOBIA
«Eravamo noi due contro loro», Luisa ha 16 anni e racconta la sua battaglia «persa» contro la classe dei bulli. Siamo in un liceo in provincia di Roma. «Per mesi siamo stati io e Andrea contro tutti». Andrea e Luisa contro compagni, insegnanti e anche genitori. Motivo: le loro identità.
Andrea si definisce «un persona queer», non-conforme cioè che rifiuta il binarismo di genere e anche per questo si scolla di dosso ogni etichetta sfoggiando unghie smaltate di nero e vestiti coloratissimi.
RAPPORTO SOS OMOFOBIA
Luisa è invece lesbica, capelli corti e sguardo dolce. «Ho fatto coming out con i miei compagni di classe. Pensavo di poterlo fare. Ma poi è iniziato tutto. Mi dicevano: non avvicinarti troppo me lo attacchi». È l'inizio di una spirale di incubi e ansie che avvolgono gli adolescenti vittime di bullismo omotransfobico. Le armi dell'offesa sono quelle di sempre - la derisione, l'esclusione, il ricatto, le minacce - potenziate dai social e ignorate tra le mura scolastiche dai professori.
«Fingevano di non vedere. Io e Andrea ci davamo manforte. Poi un giorno si sono lamentati anche i genitori. Dicevamo che eravamo strani e ci vestivamo in maniera non consona». Gli stereotipi della classe mostrano ingenuità e pregiudizi: «Troppo effeminato» dicevano di Andrea o «troppo mascolina» riprendevano Luisa. Una idea «difensiva» che colloca gli orientamenti sessuali o le identità di genere in qualcosa di radicalmente altro da cui è possibile prendere le distanze. Luisa è vittima anche da parte dei professori dello stereotipo che dipinge la ragazza lesbica come «violenta, aggressiva, e con problemi di relazione con i maschi».
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Gli studenti sembrano guardare le persone Lgbt da fuori - sono «loro», non sono «noi» - senza empatizzare con la fatica dei compagni costretti a fronteggiare pregiudizi pesanti che riguardano non solo il look ma il modo di essere a livello profondo. Un giorno Luisa decide di denunciare il tutto con una diretta Instagram: «Per questo sono stata convocata in presidenza e minacciata di sospensione».
Così decide di rivolgersi al servizio di Gay Help Line. È l'ultimo tentativo, non finisce bene. «Ci siamo trovati di fronte un muro - racconta la coordinatrice del servizio, Alessandra Rossi -. Abbiamo sostenuto la ragazza partendo con un approccio di counseling. Essendo minorenne e con una situazione familiare delicata alle spalle non potevamo fare altro. Va detto che all'interno degli sportelli d'ascolto psicologico delle scuole è molto difficile l'approdo per i minori Lgbt a cui serve comunque il consenso dei genitori.
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Abbiamo proposto un intervento nel liceo, volevamo spiegare come si possono affrontare le difficoltà che alcuni studenti possono incontrare nel fare coming out. Coinvolgendo docenti e tutto il personale scolastico che potesse mettere la comunità scolastica in condizione di poter parlare di sé, libera di potersi definire senza paura. C'è stato un totale rifiuto. Non è sempre facile entrare nelle scuole e parlare di bullismo omotransfobico».
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In Italia, Paese che non prevede l'educazione sessuale nelle scuole e neanche al rispetto delle differenze, per poter entrare nelle scuole e parlare anche solo di prevenzione al bullismo serve il consenso preventivo dei genitori e il patto di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia, secondo una legge del 2017. Un doppio binario che frena, confessano dal Gay Center. «Adesso - racconta Luisa - ho lasciato la scuola e prenderò il diploma studiando a casa. Per me quella non era più vita».
omofobia 2 manifestazione anti omofobia