Andrea Rossi per “la Stampa”
CHIARA APPENDINO DOPO L ASSOLUZIONE NEL PROCESSO REAM
«Non riesco a smettere di piangere. Lacrime liberatorie. Era stata messa in discussione la mia buona fede, una cosa che mi ha fatto malissimo». È l'unica cosa che dice, pochi minuti dopo aver postato una foto dal salone di casa sua che dice tutto: la felicità, la stanchezza, la tensione. Ma anche quel che è oggi Chiara Appendino: una donna che ha scelto, almeno per ora, di privilegiare la sua dimensione privata.
Ascoltata la sentenza ha pianto. Poi ha ringraziato la Corte d'appello di Torino che l'ha assolta ed è tornata di corsa a casa. Falso ideologico in atto pubblico, secondo il gergo barocco della giustizia; falso in bilancio, nella sostanza. Una macchia per chi amministra la cosa pubblica.
CHIARA APPENDINO DOPO L ASSOLUZIONE NEL PROCESSO REAM
Peggio ancora per chi politicamente è cresciuto nel Movimento 5 Stelle delle origini, quello per cui una condanna era prova di colpevolezza. Chiara Appendino, anche per questa macchia,ha scelto di non ricandidarsi alla fine del primo mandato. Si votava nemmeno un mese prima delle Atp Finals, una sua conquista proprio come l'Eurovision che si è chiuso sabato.
Ora dice che il dado era tratto, comunque: «È stata una scelta consapevole. Ho deciso sapendo che avrei potuto ribaltare la sentenza di primo grado, anzi credendoci, perché ero convinta che la verità sarebbe emersa. È stato doloroso», racconta. Ma inevitabile. Due condanne, totale 24 mesi, quel che basta per giocarsi la condizionale ed essere esposta agli eventi: impossibile, ammesso di essere rieletta (e non sarebbe stato facile), governare con un'ipoteca del genere.
APPENDINO PAOLO GIORDANA
Piazza San Carlo era la sua ferita umana: il disastro organizzativo della macchina comunale e dell'ordine pubblico costato la vita a due donne, una serata in cui nulla aveva funzionato ma dalle responsabilità molteplici e molto combattute. Ream, invece, era la sua ferita politica: perché frutto dell'esposto di un avversario politico, l'attuale sindaco di Torino Stefano Lo Russo, allora capogruppo del Pd, e per i fatti che le venivano contestati.
Per la procura di Torino Appendino - insieme con l'allora assessore al Bilancio Sergio Rolando, il capo di gabinetto Paolo Giordana e il direttore finanziario Paolo Lubbia - aveva falsificato i conti del Comune perché potessero chiudere in pareggio a fine 2016, i suoi primi sei mesi da sindaca.
Sergio Rolando
Aveva iscritto un'operazione immobiliare da 20 milioni alla voce entrate senza fare altrettanto - alla voce uscite - con una caparra da 5 milioni sulla stessa area che la Città aveva già incassato. I conti così quadravano, ma per i pm grazie a un trucco contabile. E con un'asfissiante pressione nei confronti dei revisori dei conti, indotti ad avallare l'artificio.
paolo giordana
Questa la tesi che ha retto in primo grado ma non in appello: stavolta il falso esiste ma è frutto di un errore, non di un reato. Ed è una sfumatura che stravolge tutto, e riabilita. Appendino non accettava il ritratto della sindaca che trucca i conti, lei che da consigliera d'opposizione aveva costruito la sua ascesa a Palazzo Civico martellando ossessivamente la giunta di Piero Fassino su bandi, procedure, poste di bilancio. Giovanna d'Arco, la chiamava Fassino, e per lui non era un complimento. Ecco, Giovanna d'Arco che si riduce a falsificare i bilanci per farli stare in piedi era - per una come lei - un'ombra tale da mettere fine a una carriera politica.
Appendino è uscita da Palazzo Civico e si è come dileguata. Poche apparizioni pubbliche e sempre defilate, moltissima vita privata («devo alla mia famiglia tutto il tempo che le ho sottratto in cinque anni»), una certa ostentata assenza dal dibattito pubblico. Solo un tema l'ha scaldata davvero in questi mesi: lo stop alle trascrizioni degli atti di nascita dei figli di coppie omogenitoriali.
conte appendino
Torino era stata la prima città a forzare lo status quo e ora la prima a fermarsi sotto la spinta della Prefettura. Il resto era sguardo da lontano, apparente disinteresse. Gli ultimi quindici giorni hanno segnato una sorta di riscossa: la scuola di formazione del Movimento 5 Stelle di cui ha assunto la guida, gli Internazionali d'Italia, l'Eurovision di Torino e gli attestati di chi ha riconosciuto i suoi meriti. «Si chiude una pagina che è stata fonte di grandi sofferenze ma oggi sono contenta», dice l'ex sindaca e in qualche modo lascia intendere un possibile nuovo inizio.
Anche il Movimento 5 Stelle la riaccoglie. «Un abbraccio a Chiara Appendino, una donna che ha sempre dato il massimo per la sua città e per il Movimento. La sua assoluzione ci rende felici», dice Luigi Di Maio. «Chiara, non abbiamo mai avuto dubbi sulla tua integrità e sull'azione politica che hai portato avanti.
stefano lo russo e chiara appendino al gay pride di torino nel 2016
La sentenza di oggi ti rende giustizia», è il messaggio di Giuseppe Conte. Le agenzie riportano i commenti di almeno una trentina di esponenti di primo piano dei Cinquestelle.
Erano molti di meno il giorno della condanna: Di Maio, la vice ministra Laura Castelli, amica da sempre, Beppe Grillo, Roberto Fico, pochi altri. Il Movimento, con lei, ha giocato di opportunismo: assecondandone l'autosospensione quando faceva comodo mettere un po' di distanza; e chiamandola nella squadra di Conte, senza che nessuno si premurasse di riammetterla ufficialmente, quando ce n'era bisogno.
Fa parte del gioco, lei lo sa e ringrazia chi le è stato vicino, M5S compreso. Ma, a lacrime non ancora asciutte, le parole sono per la sua ex maggioranza e la giunta: «Mi hanno sempre difesa credendo alla mia buona fede. Oggi è facile dirlo; allora, di fronte a una condanna, lo era molto meno».
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