Estratto dal libro “Politicamente corretto- la dittatura democratica” di Giovanni Sallusti, edizioni Giubilei Regnani
ATTO PRIMO: “MASCHIO”
POLITICAMENTE CORRETTO GIOVANNI SALLUSTI
È uno sport primitivo, la caccia all’uomo in carne, ossa e caratteri genitali (il massimo della “discriminazione di genere”, tra l’altro, se volessimo restituire alle parole il loro senso originario) riverniciata a passatempo perbene della classe dirigente occidentale, che ha smarrito ogni direzione esterna al cerchio perverso del Politicamente Corretto. Ai nostri lidi l’ha teorizzato espressamente nel suo ultimo libro Lilli Gruber, che dell’ideologia ipercorrettista incarna la versione fustigatrice, quasi un’Erinni del Politicamente Corretto. Il titolo è, letteralmente, un programma: politico, biopolitico, morale, teleologico: “Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone”.
È caccia aperta alla persona di sesso maschile, siamo anche oltre la criminalizzazione teorica che ne fa la Murgia (una dilettante nell’utilizzo del manganello tardofemminista rispetto alla furiosa Lilli), siamo all’invito dichiarato a farla finita con questa bestia in sembianze umanoidi, il maschio, a ricavare le conseguenze pratiche dal suo status di essere abietto, meramente pulsionale, sostanzialmente inferiore. È un grande pogrom (si spera solo) culturale contro chiunque sia dotato di pene, non se ne vergogni e non chieda per questo scusa al mondo, quello che pare auspicare la giornalista ultraprogressista, peraltro avvezza nella sua trasmissione “Otto e mezzo” a valorizzare quasi esclusivamente ospiti maschili, da Paolo Mieli a Marco Travaglio ad Andrea Scanzi, e a litigare ogni volta che interloquisce con l’unica leader politica donna esistente oggi in Italia, che si chiama Giorgia Meloni e con gran rosicamento di Lilli sta a destra.
lilli gruber salvini
Il problema principale con l’animale-maschio, secondo l’equilibrata diagnosi della Gruber, sta anzitutto nella sua “cultura delle tre V”. Sintetizzata con le parole dell’intervista a “Io Donna”, supplemento del Corriere attraverso cui Lilli ha lanciato l’uscita del libro (come capita a tutte le eroine in lotta dura contro l’establishment, off course): “Le tre V maschili, volgarità, violenza, visibilità, risultato di una virilità impotente e aggressiva, devono essere sostituite da empatia, diplomazia, pazienza. Gli uomini devono essere rieducati”. Nel loro contenuto espressamente grottesco, sono frasi densissime, dietro ogni parola pulsa un totem dell’ideologia politicamente corretta.
matteo salvini saluta lilli gruber (4)
Proviamo a scomporle, a risalire agli elementi ideologici di base. Solo gli uomini sono volgari (e qui basta la superficiale esperienza di vita di ciascuno di noi per passare oltre). Solo gli uomini sono violenti, assioma che la cronaca si è già da sempre incaricata da smentire (il campionario va da partner maschili sfregiati con l’acido a evirazioni riuscite o tentate a vessazioni psicologiche non di rado con utilizzo strumentale dei figli) e che è stato definitivamente stracciato da un report del Viminale del 2017.
In esso si evidenziava come quell’anno in Italia fossero state uccise 236 persone all’interno delle Relazioni Interpersonali Significative: famigliarità o prossimità affettiva consolidata. Ebbene, le donne erano 120, gli uomini 116, cui ne andavano aggiunti 4 ammazzati all'estero dalle loro partner che non avevano accettato la fine della relazione, o per soldi. Centoventi a centoventi, parità perfetta nella contabilità demente dell’orrore, cui però ci obbliga il sacro dogma del Politicamente Corretto, così ben illustrato da Lilli, sul monopolio testosteronico della violenza.
GIOVANNI SALLUSTI
No, i carnefici come le vittime non sono identificati dal genere, sono persone connotate dai loro comportamenti criminali. La violenza non è radicata nel cromosoma maschile, ma molto più originariamente dentro quel legno storto dell’umanità sezionato da Immanuel Kant (sì, un maschio, ma fidati Lilli, non totalmente un cretino), che non reputò di aggiungere specifiche sessuali alla sua ricognizione realista sulla condizione dell’essere umano. Per quei 120 casi è ridicolo parlare di “maschicidio”?
Sì, ma non più di quanto sia ridicolo parlare di “femminicidio”: la soppressione fisica dell’altro, che è persona prima che maschio o femmina (almeno così funziona nell’Occidente cristiano, ma come vedremo il Politicamente Corretto mette nel mirino anche questa certezza residua), è atto immane legalmente e moralmente in quanto tale, a prescindere dall’apparato genitale della vittima. L’omicidio incarna già le colonne d’Ercole dell’umano, e una delle tante vittorie recenti del Politicamente Corretto è stata far passare come normale, e anzi doverosa, l’insultante formula “femminicidio”.
matteo salvini al mare
Insultante per la donna, perennemente ridotta al suo genere (una sorta di quota rosa dell’omicidio), e insultante soprattutto per l’uomo. Ogni volta che la narrazione perbene sente il bisogno di tuonare contro il “femminicidio”, implicitamente sta certificando una gerarchia delle vittime, e quindi delle esistenze. Il maschio è ontologicamente una vittima di serie B (interessante sarebbe da indagare quanto di maschilismo irriflesso ci sia in questa visione per cui un uomo virile non può essere sopraffatto da una donna, per rivoltare i canoni delle Gruber contro loro stesse), un’esistenza di serie B, è materiale di scarto, vuoto a perdere, e strutturalmente sempre carnefice.
Piuttosto oscuro il passaggio dell’autrice sulla “visibilità” maschile, a maggior ragione visto che trattasi di una signora che appare ininterrottamente da lustri su canali televisivi nazionali in prima serata. Interessante e rivelatore invece l’appunto successivo sulla “virilità impotente e aggressiva” dell’animale/maschio. Un giudizio radicalmente e fin esplicitamente sessista, l’irrisione denigratoria sulla mancata potenza sessuale, qualcosa che se praticato a parti invertite comporterebbe minimo la scomunica sociale del maschio bavoso che riduce la sua valutazione sulla donna a quella su un oggetto sessuale, e ipersessualizzato.
matteo salvini al mare 4
Ma il doppiopesismo, del resto, è condizione necessaria e intrinseca del femminismo persecutore, e a volte sbeffeggiatore, politicamente corretto. Al termine di un’ospitata nel salotto gruberiano, Matteo Salvini si sentì rivolgere la seguente domanda, fondamentale da un punto di vista politologico e che sicuramente tormentava il sonno di tutti gli spettatori: “È contento che non deve più girare da ministro dell’Interno in mutande per le spiagge italiane come ha fatto quest’estate?”. Mentre l’interlocutore provava a focalizzare la situazione che stava vivendo, dover rispondere dell’enormità di essersi recato al mare in costume da bagno, la giornalista (competente, rigorosa ed istituzionale) vibrò il colpo di grazia: “E magari senza la pancia... Questo lo dico per l’occhio delle ragazze”.
Risate, titoli di coda. Più che commentare, tentiamo un esperimento mentale, perché l’ideologia la puoi smascherare solo così, riconducendo la sua pretenziosità all’evidenza dell’empiria, alla pernacchia della realtà. Rovesciamo i poli attoriali della scena, mantenendone intatta la sostanza. Un conduttore maschio di successo si rivolge con tono canzonatorio a una politica donna: “E poi, se proprio deve tornare in spiaggia in mutande, veda di tornarci senza la cellulite. Sa, lo dico per gli occhi dei maschietti”. Chiaro cosa sarebbe accaduto, no?
salvini al mare sulla spiaggia del papeete beach 1