Paolo Baroni per “la Stampa”
HOME RESTAURANT
Quello che non è successo a Uber adesso capita agli home restaurant. Arriva infatti una legge, la prima in assoluto in Italia che regola uno dei tanti rami in cui si è sviluppata in questi anni la sharing economy, per regolare i ristoranti «fatti in casa» e tutte le attività di «social eating» che viaggiano sul web. Un fenomeno che negli ultimi anni ha preso sempre più piede come il car sharing e la stanze di casa affittate grazie ad AirBnb, che ha visto fiorire tante piattaforme di prenotazione.
E ha consentito a molti italiani con la passione della cucina (soprattutto donne) di arrotondare un poco i loro guadagni trasformando case, terrazze e giardini in ristoranti aperti a turisti, avventori o semplici curiosi. Tutti trattati come ospiti personali del padrone di casa-cuoco e però paganti. In media 20 euro o poco più a pasto.
In tutto, secondo un'indagine della Fiepet Confesercenti, già nel 2014 si contavano 7mila cuochi in attività con circa 37mila eventi realizzati un anno ed un incasso medio 198 euro. Cene prenotate utilizzando Facebook, WhatsApp oppure una delle tante piattaforme web nate in questi anni, da Gnammo a Le Cesarine, da Vizeat a Eatwith.
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Dopo le prime proposte datate 2009 e dopo che nel 2015 il ministero dello Sviluppo ha emanato una prima risoluzione, oggi alla Camera va in votazione un testo frutto dell' unificazione delle proposte di legge presentate da Pd, M5S. Ncd e Sel. Una legge snella, sei articoli in tutto, per «disciplinare l' attività non professionale di ristorazione esercitata da persone fisiche nelle abitazioni private» e al tempo stesso fornire strumenti che tutelano sia i consumatori sia la leale concorrenza.
TUTTO TRACCIATO
Come prima cosa, salvo modifiche e ritocchi che possono essere introdotti con qualche emendamento, la legge stabilisce che l'attività di home restaurant «si avvale di piattaforme tecnologiche che possono prevedere commissioni sul compenso di servizi erogati» su cui vigilerà il ministero dell' Economia. Occorre registrarsi almeno 30 minuti prima di fruire del pasto e pure la cancellazione del servizio prima della sua fruizione deve rimane tracciata. Idem i pagamenti, ammessi esclusivamente attraverso sistemi elettronici e «modalità di registrazione univoche dell' identità».
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Va da se che le abitazioni private utilizzate per le cene devono possedere tutti i requisiti igienico sanitari previsti da leggi e regolamenti. Non è previsto un cambio di destinazione d' uso dei locali, mentre invece occorre aver conseguito un attestato HACCP (per saper gestire i rischi legati all' igiene dei prodotti alimentari) ed essersi dotati di una assicurazione per la responsabilità civile verso terzi. Ed infine bisogna comunicare al proprio comune di residenza la Segnalazione certificata di inizio attività (Scia), ben sapendo che l' assenza di questa comunicazione comporta l' immediata cessazione dell' attività e multe salate.
Un altro vincolo riguarda la dimensione di questo tipo di attività: è infatti fissato un tetto giornaliero di coperti, al massimo 10, ed un tetto annuale (non oltre 500). La legge prevede anche che i compensi non possano superare i 5mila euro all' anno, importo sul quale trattandosi di attività saltuaria non si pagano tasse. Se però questa soglia viene superata scatta l' obbligo di dotarsi di partita Iva e di iscrizione all' Inps e poi ovviamente si entra nel normale regime fiscale.
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«E' vero che il mondo va avanti e la sharing economy non si può fermare, però tutti devono rispettare il principio che se si opera nello stesso mercato tutti devono rispettare le stesse regole» spiega Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe Confcommercio. Confcommercio brinda «In gioco non c' è solo la tutela degli interessi degli imprenditori - spiega - ma anche la tutela dei consumatori, perché col cibo non si può certo scherzare. Quindi ben venga la nuova legge».
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Tanto più ora, sostiene Stoppani, che la sharing economy ha cambiato natura ed «è diventata ostaggio delle grandi piattaforme digitali, le uniche a guadagnarci davvero». A chi opera nel settore invece la nuova legge va stretta. «Risponde a tutti i desiderata degli esercenti: è tagliata sulle loro esigenze» spiega Michele Ruschioni, giornalista e blogger romano. Lui con la moglie aveva avviato una attività di home restaurant, «ma ormai da 17 mesi, da quando il ministero dello Sviluppo ha emanato le prime direttive, abbiamo sospeso tutto. E come noi tanti altri. Perché la confusione era tale che fioccavano multe salatissime».