Marco Giusti per Dagospia
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Cannes. Come si poteva ben prevedere, personaggi femminili forti e grandi interpretazioni di attrici dominano i film del concorso. Al punto che non sarà facile per i giurati su quali attrici puntare. Se ci avevano impressionato Natalie Portman e Julianne Moore nel sofisticato “May December” di Todd Haynes, ci impressiona forse ancor di più la tedesca Sandra Hüller, protagonista già di “The Zone of Interest” di Jonathan Glazer, nel complesso, tortuoso, crudele mistery-giallo un filo lunghetto della francese Justine Triet, “Anatomie d’une chute”.
Tutto ambientato in quel di Grenoble, poggia interamente sulla prova magistrale della sua protagonista, nei panni della scrittrice di successo Sandra, accusata di aver ucciso il marito, scrittore anche lui ma in crisi, che è stato trovato sotto il loro chalet con la testa fracassata dal loro figlioletto Daniel, bambino non vedente di undici anni che girava col suo cane per la montagna.
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Ma come si sentirà dire a un certo punto durante il lungo processo che vedrà sotto accusa Sandra, visto che era la sola persona presente in casa e non si capiscono bene le motivazioni di un suicidio, mentre ce ne sono di più, forse, per l’omicidio, per Daniel, che ha già subito una menomazione forte perdendo la vista e scatenando i complessi di colpa del padre, è meglio una madre assassina o un padre suicida?
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Durante il processo, che, come spesso capita nei gialli, è la carta vincente dello spettacolo, viene fuori di tutto. I tradimenti di Sandra con qualche ragazza, le loro discussioni pesanti del giorno prima dove marito e moglie si dicono di tutto, una prova di suicidio di lui, romanzi scritti un po’ da l’uno e dall’altra alla Elena Ferrante che rimandano a panni sporchi mal lavati in famiglia.
Per fortuna che Sandra ha un buon avvocato, l’affascinante, Swann Arlaud, e che il processo porta alla luce anche il contrasto tra moglie scrittrice non più sottomessa e marito scrittore in crisi anche come maschio. Ottimo per il pubblico delle signore di Prati, ma in generale un buon film con un’attrice straordinaria.
Ran Dong - The Breaking Ice
A Un Certain Regard ho visto invece l’ottimo Jules e Jin cinese, “Ran Dong” o “The Breaking Ice”, scritto e diretto da Anthony Chen. Storia d’amore a tre tra ventenni, la bella Dongyu Zhou di “Better Days”, il ragazzo di Shanghai Chuxiao Qu e il ragazzo di montagna Haoran Liu. Almeno un film che porta un po’ di leggerezza a un festival un po’ cupo con film di durate impossibili.
Qui la domanda che a un certo punto ci facciamo è: cosa capita i tuoi tre adorabili personaggi incontrano un orso in pieno inverno sulle montagne della lontana regione cinese dello Yaban, al confine tra Cina e Corea del Nord dove si trova il Lago Celeste? In mezzo a questi posti meravigliosi pieni di neve, la bella Dongyu Zhou non può che avvicinarsi all’orso e accarezzargli anche il naso. Piena d’amore.
Ran Dong - The Breaking Ice
Il film, molto libero e moderno non so se per il cinema cinese, ma certo per il cinema da festival di oggi, fa muovere questi ventenni appena usciti dalla pandemia, a un passo dalla Corea, in mezzo a una natura incontaminata dove anche i loro sentimenti sembrano freschi. Molto carino.
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