Estratto dell'articolo di Franco Giubilei per “Specchio – La Stampa”
maldini teocoli
Da buon comico nasconde uno sguardo malinconico sulla realtà che affiora non tanto dalla nostalgia per un mondo ormai estinto, quello del “suo” Derby, di Jannacci e Cochi e Renato, della Milan col coeur in man. È più la Milano di oggi ad apparirgli irriconoscibile, vuota di vita la sera in centro e assediata di pullman di visitatori mordi e fuggi di giorno: «Non c’è neanche un cabaret, il Teatro Lirico sembra una gelateria, i cinema sono scomparsi, ci sono le multisala che sono un bordello dove devi prenotare il posto», brontola l’attore. Avendo vissuto gli Anni 60 della minigonna e del musical Hair dove recitava con Loredana Bertè e Renato Zero, quando a fine show restavano nudi sul palco, e poi la Milano da bere con le tv di Berlusconi e le spaghettate con Craxi, il panorama attuale deve sembragli ben più scialbo.
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Una passione, il Milan, che condivideva con Enzo Jannacci.
TEOCOLI HAIR
«Andavo tante volte a prenderlo a casa e l’ultima volta che è venuto a vedere una partita portò Paolino, il figlio. I biglietti omaggio me li dava Cesare Maldini, una volta obiettai “Ma questi sono popolari...”, e lui: “Che cazzo, vuoi andare in tribuna d’onore?”».
Anche Abatantuono faceva parte di quel giro lì.
«Il Derby, lo storico locale del cabaret, era milanista. Andavamo in gruppo allo stadio: quando segnava il Milan e Diego, che era più in basso di noi, si voltava ad esultare, facevamo finta di non conoscerlo».
Lei però non ha cominciato da attore, faceva il ballerino e ha pure rischiato di entrare nella Pfm come cantante.
«Da ragazzo ero un campioncino di rock’n’roll nel mio quartiere, zona Niguarda, periferia nord di Milano. Saper ballare dava già un vantaggio, perché le ragazze stavano con chi ballava meglio. C’erano i filarini, sesso poco se non eri fidanzato in casa, e anche lì... Poi arrivò l’era Celentano, quando entrai nel Clan, e fu una strage, anche perché io somigliavo molto ad Adriano, e Adriano allora era come Elvis».
teo teocoli e gabriella golia i vicini di casa
E con la musica invece come andò a finire? Il progressive rock non faceva per lei?
«Con la Pfm, che allora si chiamava “I Quelli”, ci fu un’operazione di onestà: all’inizio mi proposi io come cantante e consigliai loro la musica di Wilson Pickett e Otis Redding perché facevano pezzi come Mr. Tambourine man, ma quel che mi fece cambiare idea sulla mia carriera di cantante era che loro, Di Ciocco, Mussida e gli altri, come gruppo miglioravano giorno per giorno, io invece non mi ricordavo le parole, anche perché andavo sempre a donne. Avevo tutte le carte per diventare un cantante, ma fin dalle elementari facevo sempre ridere tutti... Dopo la Pfm andai al Clan di Celentano. Adriano aveva una ragazza, usciva poco di casa ed era molto religioso».
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Come andò con Loredana Bertè e Mia Martini, nella sua vita precedente?
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«Con Loredana e Renato Zero nel 1969 facevamo a teatro Hair, il musical che portava a libertà e sesso. Alla fine dello spettacolo ci spogliavamo nudi sul palco con le braccia in aria cantando Let the sunshine in, eravamo molto disinibiti. Ogni tanto nella “tribù” della compagnia si formava una coppietta. Con Loredana era cominciata così. Poi una sera alla Bussola venne Mimì (la Martini) e mi disse che Loredana stava male a causa mia. Abbiamo parlato, ci siamo rivisti a Milano ed è stato un periodo molto bello con lei, ascoltavamo molta musica insieme. Una ragazza straordinaria per il suo carattere dolce, ma un po’ sfortunata».
E Renato Zero?
«Non faceva che comporre canzoni, non ne potevamo più di sentirlo, così una volta lo chiudemmo in un bagno e gli passammo la chitarra dall’alto, in modo che si sfogasse lì».
barbara bouchet teo teocoli spaghetti a mezzanotte
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Quale l’incontro che l’ha avviata alla vita da attor comico?
«Dopo Hair, in centro a Milano incontro tre pazzi: Jannacci, Cochi e Renato, che avevano un dolcevita e cercavano di allargarselo a vicenda per rovinarselo. Di Enzo non si capiva niente quando parlava, come sempre, poi una volta mi tenne un’ora al telefono prima che capissi cosa voleva: era una commedia a teatro, Saltimbanchi si muore, con Lino Toffolo. Poi capitai per caso al Derby, dove si ballava, c’era il jazz, comici, musicisti: Enzo, Gaber, Lauzi, Bindi, Paoli. Vivevo di notte, tornavo a casa alle cinque del mattino».
Massimo Boldi era un altro della compagnia del Derby.
«Ci faceva molto ridere, era scemo... L’ho anche lanciato, io e lui eravamo Stanlio e Ollio, gli ho dato tanti di quei coppini sul collo... Lui poi però ha preferito i film con Christian De Sica».
Dalla Milano del Derby si è passati abbastanza in fretta alla Milano da bere di Berlusconi, come trovava il Cavaliere?
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«Era un brianzolo, e non per scherzo. Sa quelli che venivano di sabato a Milano e si diceva che venivano giù con la piena? Noi eravamo un po’ più spiritosi, lui invece raccontava barzellette. In compenso pagava moltissimo chi lavorava per lui, era molto generoso, non so poi perché avesse tutti questi soldi, non ho mai indagato».
C’è un episodio in particolare che le è rimasto impresso?
«Una volta ci siamo detti una battuta, lui se l’è presa e mi ha mandato fuori di casa. Voleva farmi fare una cosa che non stava né in cielo né in terra e io gli avevo risposto: “Lei faccia Milano 2 e Milano 3, i quartieri residenziali che costruiva, che l’artista lo faccio io”. Si offese e mi mandò fuori casa. Ero diventato un appestato, ma lui mi voleva nella sua tv perché riconosceva che ero bravo e mi fece richiamare».
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Bettino Craxi era amico suo?
«Sì eravamo amici e io ero craxiano, la sera ci trovavamo a cantare L’uselin della comare e poi finiva con una spaghettata, una cenetta».
La Gialappa’s Band per la prima volta fece ridere del calcio, che fino ad allora era rimasto una specie di santuario: come nacque l’esperienza?
«Loro lavoravano in una radio ed erano aiuto-autori ai tempi di Emilio, il programma che facevo alla Finivest, scrivevano battute di sport. A quel tempo c’era già il personaggio di Peo Pericoli. Santin, uno dei tre, si fracassò il ginocchio e per due anni divenni il terzo uomo della Gialappa. In seguito arrivarono anche Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo e altri che hanno fatto strada. Poi io feci Maldini e scelsi Quelli che il calcio di Fazio, il rabbino».
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Come “il rabbino”...
«Perché ne ha l’aspetto, così come Pioli è “padre Pioli”, perché sembra il prete che stava una volta all’oratorio».
Da Pioli al nuovo stadio del Milan è un passo: non le dispiace che demoliscano San Siro, sempre che il progetto di un nuovo impianto venga approvato?
BERLUSCONI LE GLORIE DEL MILAN E TEO TEOCOLI
«Che lo demoliscano, non me ne frega un cazzo, tanto a Milano buttano giù tutto e butteranno giù anche lo stadio, come ogni cosa. Piuttosto ho chiesto al sindaco Sala perché a Milano, la città del Derby, non ci sia un cabaret e lui mi ha risposto che non è il suo lavoro. Mi sembra non abbia alcun contatto con la gente, poi magari è bravo, ma parla come un ragioniere».
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